Il mercato nero dei quotidiani pirata su Telegram – se tale può essere definito, dato che le copie venivano distribuite in larga parte gratuitamente – è stato in larga parte debellato. L’app di chat, in seguito alle pressioni della Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), dell’Agcom e della Procura di Bari che si era presa carico delle indagini sui responsabili della diffusione dei quotidiani pirata su Telegram, è entrata in una fase di “piena collaborazione” con le autorità arrivando a chiudere oltre 150 canali.
Siete pronti per scoprire come sono riuscite le autorità italiane a debellare il mercato dei quotidiani pirata su Telegram?
ALL THE BEST, TELEGRAM
Telegram come i Caraibi del Settecento. Le procure italiane come le autorità inglesi delle Bahamas e i quotidiani pirata su Telegram come l’oro delle colonie spagnole.
Per comprendere questi riferimenti alla cosiddetta “Epoca d’oro della pirateria“, bisogna ritornare al primo ventennio del Settecento, quando i pirati infestavano le acque dei Caraibi. Benché in Italia la penna di Emilio Salgari abbia dato a Tortuga la preminenza geografica nell’immaginario collettivo sui corsari, fu invece Nassau ad essere la sede di uno degli esperimenti politici più curiosi del suo tempo: per qualche anno infatti ospitò la Repubblica dei Pirati, uno Stato amministrato dai fuorilegge che la abitavano.
A concludere l’avventura della repubblica piratesca non fu (solo) una forza straniera, ma – nella più consolidata delle tradizioni – un pirata stesso: Benjamin Hornigold, corsaro e mentore del più famoso Barbanera, che su mandato del governo inglese si occupò di dare la caccia ai pirati che erano scampati all’occupazione delle giubbe rosse di Nassau.
Difficile non trovare delle similitudini tra questo precedente storico e quanto accaduto nelle scorse settimane su Telegram. L’app di chat, che ha raggiunto recentemente la quota di 400 milioni di utenti attivi al mese, è da sempre sede di attività di contrabbando di materiali piratati. Benché siano ben lungi dal costituire il motivo principale di crescita dei nuovi utenti, la presenza (piuttosto abbondante) di film, serie TV, brani musicali e quotidiani pirata su Telegram ha portato alla creazione di tante piccole “repubbliche dei pirati“: canali che si occupano della distribuzione di materiale illegale (a volte anche dietro compenso, spesso organizzandosi in network di canali specializzati nella diffusione di tipologie di contenuti differenti) e che per garantire la sopravvivenza delle proprie attività hanno adottato uno stile di vita “seminomade“.
Nonostante il lassismo nei controlli da parte dei moderatori di Telegram, il pericolo di una chiusura immediata è sempre presente: periodicamente dunque i canali cambiano location, spostando i contenuti piratati su altri canali Telegram.
Ma nemmeno questi espedienti sono serviti agli amministratori dei canali dediti alla diffusione di quotidiani pirata su Telegram per mantenere operativa il proprio network: da quando la Fieg, la Federazione Italiana Editori Giornali, ha avanzato la richiesta di sospensione dell’app all’Agcom per via di questo commercio, il team di Telegram ha attivamente dato la caccia ad ogni canale illegale.
Una tale solerzia da parte dell’app di chat non è dovuta alle minacce della Fieg, che da anni chiedeva a Telegram maggiore collaborazione nella lotta alla pirateria. Nè al report pubblicato dalla Federazione, che ha messo in evidenza numeri discutibili nel loro calcolo e formulazione – addirittura, si è arrivato a considerare la diffusione dei quotidiani pirata su Telegram tra le fonti di sovraccarico della rete durante la quarantena – ma che ha avuto il merito di porre sotto i riflettori una problematica nei confronti della quale, dall’altra parte, Telegram ha sempre fatto orecchie da mercante. Come da noi sottolineato nell’articolo che dava notizia della richiesta della Fieg di sospendere Telegram in Italia, sin dal 2017 erano state avanzate richieste di intervento nei confronti dei canali pirata, ma nulla era mai stato fatto. L’esasperazione, unitamente ad un aumento delle operazioni di contrabbando a causa (probabilmente) della quarantena, ha portato ad un’escalation a cui Telegram ha voluto mettere un freno aprendosi alle autorità italiane.
La ragione per cui Telegram ha deciso di affrontare la problematica è che, dalle pagine dei giornali, si era passai ai fascicoli delle procure: l’Agcom, che pure aveva subito manifestato la propria contrarietà verso l’intenzione di sospendere Telegram nonostante la portata del fenomeno (considerandolo un atto “sproporzionato”), aveva coinvolto la Guardia di Finanza e la Polizia Postale nelle indagini sui canali Telegram pirata. Dal canto loro, varie associazioni di categoria (come la sezione palermitana di Assostampa Sicilia) avevano già provveduto a denunciare l’applicazione in seguito alla pubblicazione del report.
L’archiviazione del procedimento da parte dell’Agcom non è dunque coinciso con una chiusura della questione – tutt’altro. L’Agcom non ha competenza su Telegram e sui materiali pirata diffusi all’interno dell’applicazione, poiché situati su server russi gestiti dal servizio di hosting GoDaddy.com – in accordo con l’articolo 8 comma 1 del “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70” e delle successive modifiche del 2008, l’Agcom si deve ridurre ad operare sui confini del mercato italiano.
Tuttavia, le procure non devono sottendere a tali limiti – specialmente quella di Bari che ha preso in carico le indagini nei confronti dell’applicazione. La resistenza di Telegram, restia a cedere i propri dati, si è sciolta davanti all’ipotesi avanzata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi di accusare Telegram di riciclaggio. Proprio l’azione di Rossi è stata decisiva per accelerare i tempi: per stessa ammissione del colonnello Pierluca Cassano della Guardia di Finanza, intervistato dal Corriere della Sera, solo Rossi era a conoscenza di cosa Telegram fosse quando, la sera del 23 aprile, aveva contattato il team Computer forensics data analysis della procura di Bari (che, a partire da quel giorno, si è iscritta all’applicazione).
La collaborazione di Telegram ha evitato che la situazione trascendesse: infatti “non era mai accaduto che i responsabili di una piattaforma di messaggistica riconoscessero il problema dei pdf pirata dei giornali“. La richiesta della procura di Bari era la medesima della Fieg: chiudere i 19 canali scoperti a commerciare i quotidiani pirata su Telegram. La risposta dell’applicazione, da Dubai, non si è fatta tardare.
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i. “EDICOLA-FREE” – 4.052 users – t.me/edicolafree1 – BLOCKED
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All the best,
Telegram DMCA
Nelle settimane successive le segnalazioni da parte della Federazione sono aumentate, tanto che si è giunti a 163 canali cancellati. Un numero tanto alto non corrisponde alla chiusura di altrettanti singoli e differenti canali dedicati alla diffusione di quotidiani pirata su Telegram – ma, come detto più sopra da noi e come poi confermato da Cassano, molti canali semplicemente riaprono presso altri indirizzi, dopo la chiusura.
Le procure sanno che non è possibile procedere nei confronti degli amministratori dei canali stessi, in quanto “sia il titolare del canale che gli iscritti non sono identificabili in alcun modo. Né tantomeno è stato possibile identificare il soggetto che ha inserito i contenuti digitali nel canale“, sostiene la Procura nel documento che motiva il sequestro preventivo di urgenza. Nè poi è stato provato che l’applicazione fosse consapevole di tale commercio – per questo motivo non si è deciso di agire in maniera più ostile contro Telegram.
L’app rischiava molto, e continua a farlo anche adesso – per cui non c’è da dubitare che proseguirà con la collaborazione. D’altronde, oltre alla già citata ipotesi di riciclaggio, c’è da considerare quanto scritto dall’Agcom all’interno del documento che ha accompagnato la comunicazione dell’avvenuta archiviazione della richiesta della Fieg. Due sono gli aspetti da considerare: la prima è la richiesta avanzata dall’Agcom al legislatore di modificare il suddetto Regolamento, così da disporre dell’autorità necessaria per procedere alla rimozione coatta dei materiali pirata anche senza la collaborazione dell’app situata in terra straniera – un’eventualità che Telegram di sicuro non gradirebbe.
La seconda è invece la notizia della segnalazione, fatta dall’Agcom e successivamente reiterata dalla Federazione, a Google Play e all’App Store della situazione di illegalità. Una notizia preoccupante (sempre per Telegram), specialmente per ciò che riguarda il coinvolgimento di Apple, che nel 2018 fu responsabile dell’oscuramento della maggior parte dei canali pornografici dietro la minaccia di sospendere l’app dall’App Store – unico market di applicazioni su iOS. In pochi giorni, la pornografia venne confinata negli angoli più remoti dell’app – per quanto non sia totalmente inaccessibile (il blocco funziona infatti solo su iPhone e non nella versione web di Telegram, ma solo per gli accessi diretti) ha comunque raggiunto il suo scopo. La Federazione sa che una simile spada di Damocle non lascerà a Telegram molte scelte: quando la procura di Bari chiuderà il suo fascicolo, Apple e Google forniranno all’applicazione il giusto incoraggiamento perché anche i canali che nasceranno in futuro si dedichino ad attività più remunerative del contrabbando di quotidiani pirata su Telegram.
La vittoria della Fieg tuttavia è esemplare non tanto per i risultati sopra descritti – comunque impressionanti; piuttosto, per quanto successo ad uno dei quattro canali che monitoravamo dal tempo dell’inizio della vexata quaestio. Tale canale, denominato Notizie all’Italiana e con oltre 50mila membri all’attivo, è passato dalla diffusione di quotidiani pirata su Telegram alla pubblicazione di notizie provenienti dai siti web dei giornali che, appunto, fino a poco tempo prima piratavano.

Una vittoria assoluta – finché dura.
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