La privacy è una necessità, ma stando alle notizie ed alle segnalazioni che giungono dal suolo europeo e statunitense sembra progressivamente configurarsi come un diritto da conquistare. Fonti autorevoli e studi di settore indicano infatti come i cambiamenti delle privacy policy, l’introduzione di home assistant intelligenti e la diffusione di social network ed app di chat abbia vertiginosamente aumentato la domanda di meta data da parte di aziende di marketing e ricerca, oltre che di hacker e pirati informatici desiderosi di mettere gli occhi su informazioni strettamente personali. E, sfortunatamente, tra app con problemi di privacy e politiche di trattamento dei dati molto fumose, si tratta di una realtà in costante attuazione.
Solamente nelle scorse settimane sono state segnalate criticità riguardo il diritto di porre restrizioni di privacy sui propri dati da parte di utenti WhatsApp, Facebook ma anche Amazon e Evernote: siete pronti per conoscere tutte le storie di questi 3 servizi e app con problemi di privacy?
#1 – Evernote
Evernote è una popolarissima app di raccolta note ed appunti: smart e flessibile a qualunque esigenza, è utilizzabile anche su Android Wear e consente di raccogliere impressioni, spunti, impegni da sincronizzare con il calendario in qualunque momento e in ogni forma, che si tratti di un’immagine o di un file audio.

Nonostante dunque le features decisamente a misura d’utente, lo stesso non può essere detto riguardo la sicurezza dei dati raccolti al suo interno: ha sollevato notevoli perplessità infatti il cambiamento della privacy policy che, per favorire l’introduzione di un sistema di machine learning, ha concesso la possibilità ad un numero limitato di programmatori ed impiegati di accedere alle note salvate nella piattaforma.
La stessa società ha dovuto pubblicare una nota di chiarimento che precisa la posizione assunta: solamente alcune figure chiave potranno visionare i contenuti degli utenti, principalmente per verificare violazioni dei TOS o in obbedienza ad una richiesta da parte delle autorità giudiziarie statunitensi. Ma, specialmente quest’ultimo dettaglio, non è piaciuto troppo a molti degli utenti che hanno classificato Evernote come un’app con problemi di privacy.
#2 – Amazon Echo/Google Home
Forse non si tratterà di una preoccupazione diretta per gli utenti italiani – i dispositivi Amazon Echo non hanno ancora fatto irruzione nel mercato del Belpaese – ma certamente lo è per coloro che decideranno di trascorrere qualche giornata a Las Vegas (i cui hotel si sono dotati in ogni stanza di un Amazon Echo) o che, per qualche motivo, vorranno acquistare un dispositivo Amazon Echo o Google Home.

Entrambi i sistemi di assistenza domestica rappresentano l’ultimo ritrovato in termini di domotica e possono aiutare gli utenti a risolvere piccole incombenze quotidiane: sfortunatamente però il prezzo da pagare in cambio della costante attenzione di un maggiordomo digitale è la propria privacy, sacrificata per via della necessità da parte del device di prestare costante attenzione alla ricerca della parola chiave.
Le privacy policy di Google e Amazon differiscono leggermente, ma sono comunque concordi sul sistema di raccolta dei dati: le parole pronunciate in seguito all’attivazione, così come quelle registrate qualche secondo prima, vengono memorizzate dai dispositivi. Amazon trasmette i comandi, alcune informazioni personali e le ricerche passate attraverso il sistema cloud, mentre Google raccoglie le informazioni crittografandole e salvando le ricerche nella cronologia dell’account, eliminando successivamente i dati. In ogni modo, non sarà differente dal possedere un orecchio costantemente in ascolto il quale potrebbe anche essere hackerato da fonti di terze parti.
#3 – Facebook
Che Facebook abbia dei problemi nel rispetto della privacy degli utenti non è certamente una novità: il social network è stato classificato, così come l’app con problemi di privacy, come una delle più grandi fabbriche di meta dati della storia e di recente la stessa applicazione è stata accusata – giustamente – di sfruttare la posizione dell’utente per migliorare l’algoritmo di ricerca delle amicizie suggerite – o di chiedere indebitamente l’accesso agli SMS tramite Messenger.

Le ultime accuse arrivano però da un ambiente piuttosto insolito: il Vaticano. Nella posizione di diversi docenti di teologia e prelati, la Chiesa Cattolica ha espresso viva preoccupazione nei confronti di app e social network in grado di riconoscere parole chiave e registrare quanto pronunciato attorno alla propria posizione attraverso il microfono dello smartphone. Il sito Aleteia ha evidenziato come la capacità dell’algoritmo di Facebook – ma non solo – di identificare parole chiave possa portare alla registrazione di dati sensibili pronunciati durante l’esercizio della confessione, una delle pratiche sacramentali (secondo il diritto canonico, la violazione del segreto confessionale si posiziona alla stregua dell’eresia) più sensibili in quanto l’utente-fedele è portato all’esposizione di fatti che, se divulgati, potrebbero rappresentare un serio rischio di privacy.
Non soltanto app e servizi: scopri QUI i browser con problemi alla privacy da non installare assolutamente!
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