Quale gram-o futuro attende la criptovaluta di Telegram, bloccata dalla SEC
Cosa succede alla criptovaluta di Telegram? Si prospetta un inverno decisamente caldo per il mercato delle monete digitali, osteggiate dall’attivismo degli enti regolatori americani che negli ultimi mesi hanno colpito a più parti il nascente mercato delle valute private. Dopo Libra, la moneta di Facebook che ha perso negli ultimi giorni quasi tutti gli attori economici fondatori della Libra Association, è il turno di Gram, la criptovaluta di Telegram: la Security and Exchange Commission (SEC) ha infatti ordinato l’immediata cessazione di ogni attività di distribuzione e commercio dei quasi tre miliardi di token raccolti attraverso due round di finanziamento da 1,7 miliardi di dollari complessivi.
Ma cosa succederà ora alla criptovaluta di Telegram? Siete pronti per scoprirlo?
“LA SEC GLI STAVA ADDOSSO COME UN FALCO”
La Security and Exchange Commission, ente federale americano deputato alla regolazione dei mercati finanziari, ha messo la prima, e forse la più ingombrante delle pietre sulla carreggiata che dalla relativa oscurità avrebbe dovuto condurre la criptovaluta di Telegram, Gram, alla consacrazione delle piazze di scambio virtuali.
Dopo la luce verde data alla blockchain dove i Gram avrebbero trovato posto, la TON (acronimo per Telegram-Open-Network), la SEC ha deciso di interrompere con un Ordine Restrittivo Temporaneo la distribuzione della criptovaluta di Telegram negli Stati Uniti. La motivazione è molto chiara: Telegram avrebbe mancato di registrare le due sessioni di finanziamento private tenutesi nel 2018 che avevano raccolto 1,7 miliardi di dollari, e che secondo la SEC devono sottostare alle medesime regole del mercato azionario. Non solo: i rappresentanti di Telegram, secondo il documento di oltre trenta pagine pubblicato dall’ente federale, si sarebbero rifiutati di dare seguito ad una richiesta a comparire da parte della SEC per chiarire la natura della criptovaluta di Telegram.
Il nodo della questione è infatti tutto qui: Gram è solamente una valuta, ossia uno strumento utile ad interagire con una piattaforma (e questa sarebbe la versione di Telegram), oppure delle proprietà che ci si aspetta generino una forma di profitto? La SEC è convinta che si tratti del secondo caso, portando così i Gram a livello di securities, alla pari di titoli azionari. Ciò soddisfa infatti il cosiddetto “test di Howey”, utilizzato dalla SEC per distinguere i securities da tutto il resto, il quale recita:
“a contract, transaction or scheme whereby a person invests his money in a common enterprise and is led to expect profits solely from the efforts of the promoter or a third party”
e che vede una sua traduzione approssimativa nella seconda alternativa, posta poco sopra e adottata dalla SEC. Evitando di registrare i Gram come securities, Telegram avrebbe mancato di comunicare agli investitori tutti i rischi connessi all’operazione e di fornire loro le adeguate garanzie.
Normalmente l’ente americano, coinvolto dalla presenza di 39 investitori statunitensi che hanno partecipato ai due round di finanziamento per oltre 425 milioni di dollari (aggiudicandosi complessivamente 1 milione di token su 2,9), si sarebbe limitato ad aprire un’indagine interna. Ma era cosa nota che Telegram programmasse di avviare la vendita dei Gram il 31 ottobre di quest’anno: nel documento che per primo aveva rivelato l’esistenza della TON, veniva specificato che qualora l’intera struttura non avesse visto la luce entro quella data, Telegram avrebbe dovuto rimborsare gli investitori del denaro inizialmente speso. La SEC si è così rivolta ad un giudice federale affinché intervenisse nel minor tempo possibile a bloccare “una alluvione di token digitali da parte di Telegram sul mercato americano che sosteniamo siano stati venduti illegalmente”, ha detto il co-Direttore della Division of Enforcement della SEC, Stephanie Avakian. A ciò si aggiunge anche il rifiuto, del tutto azzardato da parte di Telegram, di presentarsi ad un’audizione da parte della SEC.
“The SEC was watching them like a hawk. As a result they said they weren’t going to do buybacks + some other things to make it more decentralized. They communicated to investors that they were doing that. They thought they would be able to avoid [this]” ~ Telegram investor https://t.co/mWAXr5Jfcn
— Frank Chaparro (@fintechfrank) 11 ottobre 2019
Dalle ricostruzioni fatti dagli analisti del settore, a partire dalle carte fornite dalla SEC e dalle testimonianze di alcuni partecipanti ai round di finanziamento, pare infatti che sia Telegram sia gli investitori stessi fossero pienamente consapevoli dei pericoli corsi da una mancata registrazione dei Gram come securities. Secondo la versione di un investitore anonimo, riportata su Twitter da Frank Chaparro (direttore del webmagazine The Block), Telegram avrebbe puntato a rendere la TON “più decentralizzata” così da evitare le attenzioni della SEC.
Cosa ancor più curiosa, notata da Preston Byrne, lo studio legale statunitense impegnato nella gestione dei rapporti di Telegram per la commercializzazione dei Gram è Skadden: data la nomea, ci si sarebbe aspettati un comportamento più responsabile, in quanto sarebbe stato piuttosto ingenuo non immaginare che la SEC avrebbe reagito violentemente, e rapidamente davanti ad un simile pericolo.
TELEGRAM’S VERSION
La versione di Telegram si discosta leggermente da quanto sostenuto dalla SEC. Secondo Telegram non vi sarebbero state irregolarità nella gestione dei round di investimento. E questo è vero: nel febbraio 2018 Telegram aveva regolarmente depositato un documento, chiamato Modulo D, che certificava alla SEC che la società aveva già provveduto a raccogliere 850 milioni di dollari da parte di una serie di investitori privati. Il Modulo D deve essere consegnato entro 15 giorni dalla raccolta dei finanziamenti, e garantisce che questi non devono rispettare alcun requisito o impegno imposto dalla SEC per le ICO (offerte pubbliche di finanziamento per le criptovalute), in quanto solo selezionati investitori potevano accedervi. In particolare:
- solo persone che dispongono di un reddito fisso di più di 200mila dollari all’anno;
- solo persone che possiedono un patrimonio netto di almeno un milione di dollari;
- solo aziende il cui patrimonio si quantifica sui 5 milioni di dollari.
Il problema risiede altrove. Come già detto, la SEC sostiene che il fatto che i token saranno poi rivenduti a profitto a persone terze li classificherebbe come securities, rendendo inefficace il Modulo D e tutta la documentazione allegata. A riprova di ciò qualche mese fa uno degli investitori, Gram Asia, ha tenuto una vendita anticipata (e apparentemente non autorizzata da Telegram) di token, guadagnando una cifra non precisata di denaro, ma consistente.
Tuttavia in una lettera inviata da Durov agli investitori e spuntata online, si sostiene che il team dell’applicazione avrebbe tentato di mettersi in contatto con la SEC costantemente nei 18 mesi passati, ma che non sarebbe giunta nessuna risposta.
RIMANDATI A SETTEMBRE (PROSSIMO)
La domanda di cui preme conoscere la risposta, sia agli investitori che ai semplici utenti dell’applicazione che attendevano il lancio della TON per mettere le mani a loro volta sui token, e prendere così parte alla nuova “economia di Telegram“, è però un’altra: il blocco della SEC ai Gram comporterà un’interruzione dell’intero progetto della criptovaluta di Telegram?
L’unica risposta possibile è: dipende. Sono molteplici gli scenari che questa spinosa situazione potrebbe generare, e maggiore chiarezza sarà fatta il 24 ottobre – quando Pavel Durov ed i suoi legali si presenteranno alla corte federale presso la quale è stato denunciato.
Previsioni e speculazioni non mancano, sia a livello ufficiale che nel sottobosco dei passaparola. Yakov Barinsky, direttore della società russa di investimenti in criptovalute Hash CIB, ha sostenuto ai microfoni dell’emittente russa Tass che:
“la mia previsione è che la TON sarà lanciata con qualche sorta di limitazione e, possibilmente, i Gram saranno bloccati. In altre parole, il protocollo non consentirà ai loro proprietari di trasferire i Gram tra i propri account.“
A sostegno della propria tesi, Barinsky ha citato una frase del secondo co-Direttore della Division of Enforcement, Steven Peikin, pronunciata appena qualche giorno fa: “abbiamo più volte sostenuto che non è possibile aggirare le leggi federali semplicemente etichettando il proprio prodotto come criptovaluta o token digitale“. Effettivamente, limitare l’utilizzo dei Gram potrebbe essere una soluzione per evitare di incorrere nelle ire della SEC e al contempo evitare di dilazionare ulteriormente il lancio della TON.
Le alternative non sono molte: Telegram potrebbe infatti limitarsi a rimborsare i finanziatori americani, così da uscire dall’area di giurisdizione della SEC – ma è uno scenario irrealistico: gli investitori statunitensi costituiscono quasi un quarto del denaro raccolto durante i round di finanziamento, e non è detto che la SEC mollerebbe il colpo. È più probabile che, nel tentativo di dirimere la questione, Telegram postponga completamente l’inaugurazione della TON: più fonti, citate sia da Tass che da Forbes, sostengono che l’idea di rimandare il lancio della criptovaluta di Telegram e della sua blockchain di “sei mesi, massimo un anno” è attualmente in discussione. Un blocco normativo è infatti previsto tra le clausole (insieme a disastri naturali, guerre e altre catastrofi) che sollevano Telegram dall’obbligo di restituire il denaro raccolto qualora la valuta non veda la luce entro il 31 ottobre. I più maligni dicono pure che si tratterebbe di un’occasione per Telegram di migliorare e sviluppare ulteriormente la TON approfittando del tempo concesso dal blocco.
D’altra parte, nonostante il tanto rumore e fumo sollevato, è possibile che la vicenda si concluda con una multa – per quanto la SEC, ormai sul piede di guerra, chieda lo smantellamento della TON e la restituzione dei finanziamenti agli investitori, in parte già spesi nella costruzione della blockchain. L’esempio più citato negli ultimi giorni è quello della criptovaluta EOS, che a fronte di alcune irregolarità contestate dalla SEC sulla ICO da oltre 4 miliardi di dollari, se l’è cavata con una multa da 24 milioni, e il nulla osta a procedere. Tuttavia, non era stato necessario coinvolgere un giudice federale per costringere i suoi organizzatori alla trattativa.
NESSUNA MONETA DI SCAMBIO
Telegram non è la prima, né sarà l’ultima compagnia intenzionata a lanciare un’ambizioso progetto di criptovaluta a ricevere un secco diniego da parte delle autorità americane. L’esempio più logico è Libra: chiamata “criptovaluta di Facebook“, per quanto il social ne rappresenti solamente lo sponsor principale nonché l’ideatore (ma non il proprietario), la settimana scorsa ha subito le defezioni di PayPal, Mercado Pago, VISA, Mastercard, Stripe, Booking ed eBay dalla lista dei soci della Libra Association, l’organismo dirigenziale della criptovaluta.

Come già spiegato in QUESTO approfondimento, la moneta digitale di Facebook aveva e continua ad avere aspirazioni di livello mondiale: l’annuncio in pompa magna di qualche mese fa ha naturalmente sollevato numerosi interrogativi, specialmente da parte di organismi di vigilanza e controllo monetario sia statunitensi, che europei che internazionali. Per quanto le criptovalute di Telegram e di Facebook siano estremamente differenti dal punto di vista tecnico, sul piano pratico sono oggetto dei medesimi timori: sostegno alle attività di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo e del mercato della droga sono le accuse più frequenti e più difficili da controbattere.
L’impossibilità di risalire al mittente di una transazione effettuata tramite una blockchain è inconcepibile per un’ente incaricato di regolare i commerci e gli scambi monetari e finanziari: per questo il lancio di Libra è sempre stato condizionato, nelle dichiarazioni di banchieri e burocrati, dalle rassicurazioni che la Libra Association e più nello specifico Mark Zuckerberg sapranno dare ai membri del Congresso statunitense il prossimo 26 ottobre, data dell’audizione del fondatore di Facebook, chiamato a rispondere esattamente su questa materia.
È probabile che Telegram abbia voluto evitare un’eccessiva e dannosa esposizione mediatica proprio per tenere lontane, insieme alla luce dei riflettori, anche le attenzioni dei senatori statunitensi. Proprio qualche giorno prima dell’ufficializzazione dell’abbandono di Mastercard, Stripe e VISA dal progetto di Libra, è stato reso noto che diversi membri del Congresso (tra cui Brian Schatz, Hawaii e Sherrod Brown, Ohio – entrambi democratici) avevano inviato lettere dal sapore vagamente minaccioso alle tre compagnie. “Vi invitiamo, si legge, a considerare con attenzione come voi compagnie gestirete questi rischi prima di procedere oltre, considerando che Facebook non ha ancora dato dimostrazione al Congresso, alle agenzie di regolamentazione finanziaria – e forse anche a voi stesse aziende – che sta prendendo seriamente questi rischi.” Un’osservazione a cui nemmeno Telegram, di questi giorni, può probabilmente sfuggire.
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