L’importanza di Telegram a Hong Kong per l’organizzazione delle proteste
Che Telegram non sia una semplice app di chat sicura, lo si afferma da tempo: la struttura cloud e le opportunità di interconnessione la rendono decisamente più social e popolare di quanto non facciano altre applicazioni di messaggistica criptata, da Signal a Wire. Con un bacino d’utenza di oltre 250 milioni di utenti, Telegram ha ormai raggiunto ogni angolo del globo, e tra questi figura anche Hong Kong: nonostante Telegram sia bandito dalla Cina come molte altre applicazioni di chat, i manifestanti di Hong Kong hanno fatto propri i Supergruppi e oltre 300 di questi aiutano i manifestanti ad organizzare le proteste contro la governatrice dell’ex-colonia inglese e, per estensione, contro le forze cinesi nell’area. Proprio queste ultime, vista l’implicazione di Telegram nel coordinamento delle proteste, hanno sfruttato a proprio vantaggio le caratteristiche della piattaforma per risalire alle identità dei manifestanti.
E proprio in vista di questi ultimi l’azienda pare includerà, così come suggeriscono le prime versioni della beta dell’applicazione, una feature volta a nascondere il proprio numero di cellulare a chiunque, compresi i propri contatti. Siete pronti a scoprire tutta la storia dal principio?
SINDROME CINESE
Iran, Russia e poi Hong Kong: ovunque siano in corso proteste nei confronti di un regime autoritario, i manifestanti hanno sempre optato per Telegram per l’organizzazione delle contestazioni. La natura al contempo privata e sociale dell’applicazione rende Telegram la suite ideale per qualsiasi nucleo eversivo – sia in senso positivo, che negativo, dato che l’applicazione gode di una forte popolarità anche presso gruppi terroristici, come l’ISIS o Al-Qaeda.
Nel gennaio 2018 diversi canali Telegram iraniani – nel Paese è presente una delle più grandi basi d’utenza dell’applicazione – furono centrali nel coordinamento delle manifestazioni, che portarono ad un’escalation di tensioni tra il governo degli ayatollah e l’applicazione stessa. Un canale estremamente popolare arrivò a diffondere suggerimenti sulla conduzione armata delle proteste, tanto che Telegram fu costretta a chiuderlo, tra le proteste dei fan che arrivarono a coinvolgere anche il fondatore dell’applicazione, Pavel Durov.

Nell’aprile 2018 fu il turno della Russia: in questo caso Telegram fu doppiamente protagonista, non solo come mezzo tramite il quale coordinare le manifestazioni in favore di una maggiore libertà d’espressione online, ma anche come simbolo di contestazione. Telegram e il suo fondatore, entrambi provenienti dal Paese degli zar, sono visti come uno dei pochi simboli nazionali antagonisti al governo putiniano – ed i volantini di protesta a forma di aeroplanino di carta, simbolo dell’applicazione, stanno a dimostrarlo.
Hong Kong è quindi solamente una delle ultime tappe di Telegram, e non è nemmeno la prima volta che entra in contrasto con il governo cinese, in maniera più o meno diretta. Era infatti il 2015 quando l’applicazione subì un massiccio attacco DDoS dal settore Asia-Pacifico. Senza esplicitamente menzionare il governo cinese, Durov sostenne che i mandanti dell’offensiva erano da cercare tra chi, da quelle parti, era “molto scontento” nei confronti dell’applicazione – per quanto, in caso di un ban totale nel Paese (avvenuto poi lo stesso anno) Telegram non avrebbe opposto resistenza, limitandosi ad accettare la situazione. Un attacco simile era stato poi inflitto nel giugno di quest’anno, durante i primi giorni delle manifestazioni ad Hong Kong, organizzate da un gruppo di rivoltosi – poi accresciuti enormemente nel numero – contro una bozza di legge sull’estradizione, e più in generale nei confronti della linea dell’appeasement nei confronti della Cina tenuta dal governatore dell’ex-colonia inglese.
In quel caso però Durov non le aveva mandate a dire, citando esplicitamente il governo di Pechino quale probabile mandante dei disservizi causati all’app, nel tentativo di bloccarne o scoraggiarne l’utilizzo.
I RIBELLI DI HONG KONG ED IL PRESUNTO BUG DI TELEGRAM
Nonostante la cronologia degli eventi che vi abbiamo riportato (seppur in forma incompleta) possa suggerire altrimenti, Telegram non nasce come applicazione per finalità eversive, o segrete. Al contrario di app come Signal, Telegram ha una vocazione social che, in definitiva, è quella che le ha permesso di ottenere una base d’utenza tanto grande nonostante un mercato occupato in modo permanente da WhatsApp, Messenger e pochi altri attori.
Nonostante ciò ha sempre mantenuto una particolare sensibilità nei confronti della privacy, continuando a supportare la tecnologia delle Chat Segrete (messaggi crittografati end-to-end) arrivando ad introdurre la possibilità di cancellare i messaggi di qualsiasi utente in qualsiasi chat privata – senza evitare di suscitare qualche polemica. Ma non tutte le eventualità possono essere previste – come, per esempio, che un attore statale prelevi decine di migliaia di numeri di cellulare dagli operatori del Paese e ne faccia uso per identificare anonimi manifestanti.
I gruppi Telegram utilizzati dalle persone che hanno preso parte alle proteste a Hong Kong sono liberamente accessibili – ciò significa che anche gli agenti dei servizi segreti cinesi possono diventarne membri. Ma dato che su Telegram ogni utente può mantenere segreta la propria identità, il rischio di essere identificati è minimo, dato che occorrerebbe disporre del numero di cellulare della vittima per collegare ad un nome e cognome un preciso account Telegram. Un’eventualità impossibile in un Paese democratico, ma non in Cina. Per accedere ai registri telefonici, le autorità devono semplicemente inoltrare la richiesta agli operatori locali: una volta ottenuti, è sufficiente salvarli all’interno della rubrica di un telefono collegato ad un account Telegram presente all’interno di tali gruppi perché i contatti membri del gruppo vengano automaticamente “smascherati”.
Non si tratta di un hackeraggio, né di una vulnerabilità: semplicemente, le autorità cinesi hanno piegato a proprio vantaggio una legittima funzione di Telegram, adottata anche da altre applicazioni di messaggistica e che permette di collegarsi ai propri contatti già iscritti al servizio. Lo ha spiegato anche un portavoce dell’applicazione al giornalista di Forbes, che come altri giornali ha titolato in senso allarmistico la notizia di una presunta penetrazione degli schemi di sicurezza dell’app.
The bug is already public and it is very easy to exploit. It is posting real dangers to #hkprotests who heavily use @telegram to coordinate our demonstrations and actions. We are writing up the bug here. Need help from @durov https://t.co/Z2bTjs7KkC
— Chu Ka-cheong (@edwincheese) August 23, 2019
A dare l’allarme era stato infatti uno dei leader della protesta ad Hong Kong su Twitter, chiedendo a Telegram di prendere provvedimenti contro quello che sembrava tuttavia essere un vero e proprio hackeraggio dell’applicazione. Come faceva la polizia a scoprire le identità nascoste dietro i profili di anonimi utenti Telegram, nonostante nelle Impostazioni, sotto la voce “Privacy e sicurezza” > “Numero di telefono” > “Chi può vedere il mio numero”, avessero spuntato la casella “Nessuno”?
Semplicemente, l’opzione funziona solo nei confronti degli utenti che non possiedono il numero di telefono dell’utente, così come specificato (seppure senza tanta enfasi) nell’applicazione stessa. Ad ogni modo, non è chiaro se questo espediente abbia avuto successo oppure no nell’attività di identificazione dei manifestanti, tenendo conto che Telegram ha già preso provvedimenti, e altri saranno introdotti con Telegram 5.11 (forse).
TELEGRAM CONTRO IL GOVERNO CINESE
Come riportato alla testata online ZDnet, un portavoce di Telegram ha assicurato che la piattaforma dispone di protocolli di protezione che impediscono ad account di eseguire azioni che solitamente vengono collegate a comportamenti tossici, o malevoli. Ad esempio, un bot governativo cinese che aveva tentato di caricare oltre 10mila contatti sul proprio profilo (fasullo, ovviamente) era stato bloccato dopo due secondi dall’avvio del processo, venendo limitato dalla piattaforma all’upload di soli cinque profili al giorno. Un ban facilmente aggirabile dal governo cinese, che potrebbe impiegare reti di bot per raggiungere il proprio obiettivo.
Ed è sempre ZDnet che ci spiega l’apprensione dimostrata dai manifestanti di Hong Kong, in un’intervista a Chu-kang Cheong, membro del capitolo di Hong Kong della Internet Society – organizzazione americana finalizzata alla promozione di un accesso libero e gratuito ad Internet. Stando a Chu (che pare essere coinvolto attivamente nelle proteste grazie anche alle sue capacità di tecnico informatico), Telegram è l’unica suite di messaggistica che risponda alle esigenze di una rete di persone molto vasta e organizzata e che pone l’anonimato in cima alla lista delle proprie priorità. Alternative come Signal e Wire supportano solo gruppi di poche centinaia di persone, mentre i comunicati diffusi nei supergruppi Telegram possono raggiungere fino alle 200mila persone alla volta, e dispongono di una serie di funzioni accessorie uniche. Per quanto alcuni gruppi di dirigenti ed organizzatori delle manifestazioni siano comunque attivi sulle altre app di chat sicura, Telegram rimane indispensabile per comunicare con rapidità a tutti i partecipanti alle manifestazioni.

Fortunatamente, sembra proprio che Telegram non sia rimasta a guardare: dalle prime versioni della beta dell’app, nel prossimo aggiornamento dovrebbe essere introdotta una funzione per mascherare completamente il proprio numero a qualsiasi utente, compresi coloro i quali hanno il vostro numero salvato nella rubrica, rendendolo visibile unicamente ai contatti salvati nella propria rubrica.
I manifestanti di Hong Kong non sono l’unico gruppo ad aver avanzato richieste di maggiore privacy a Telegram: già nel 2016 alcuni dissidenti iraniani avevano chiesto all’applicazione di implementare una funzione che consentisse di disabilitare a distanza un account violato da terzi, dopo che il governo iraniano aveva cercato di ottenere quante più informazioni possibili (contatti, principalmente) dall’account di un dissidente arrestato. In quell’occasione Markus Ra, uno dei pochi dirigenti di Telegram noti al di fuori dei fratelli Durov, aveva promesso l’arrivo di un “pulsante di autodistruzione” tramite il quale distruggere a distanza il proprio account, grazie all’invio di un codice – ma tale funzione non è mai stata implementata, probabilmente per via delle difficoltà tecniche che avrebbe comportato una feature tanto delicata.
Invece, per la fortuna degli utenti Telegram a Hong Kong, la loro tanto attesa modalità di mascheramento dei messaggi è in dirittura di arrivo.
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