I produttori di smartphone italiani esistono (ma non godono di buona salute)
Che fine hanno fatto gli smartphone italiani? Una domanda che merita risposta, visto l’interessamento espresso dall’attuale governo nei confronti delle nuove tecnologie – con conseguente scontro sull’assegnazione dei fondi che in Italia non può mai mancare. Ma se le blockchain, il 5G, le tecnologie per l’Internet Of Things vengono già sviluppate con successo dagli unici attori economicamente e strutturalmente in grado di sostenerne l’investimento – Vodafone e TIM, principalmente – la produzione di smartphone Made In Italy è tutt’altro discorso, e mercato.
Di produttori di smartphone italiani non se ne parla da un po’, e più in generale non è mai stato un argomento di discussione, a tutti i livelli: dopo il fallimento negli anni Novanta della Olivetti e del suo piano di espansione nel mercato globale della telefonia, una seria discussione sullo sviluppo del settore della telefonia in Italia sembra essere diventato un tabù.
Sia per l’assenza di un retroterra culturale sufficientemente fertile da consentire l’attecchimento di progetti analoghi (di digitale e nuove tecnologie si è iniziato a parlare solamente negli ultimi anni all’interno dell’apparato educativo italiano), sia per le evidenti difficoltà che si prospettano a chiunque tenti di sfondare in un mercato estremamente competitivo (e ormai anche in declino), i produttori di smartphone italiani sono diventati una bestia rara, ma non hanno per questo perso di appeal o interesse presso i consumatori del Belpaese.

Certo, lo smartphone rimane un oggetto indispensabile per l’italiano medio, come certificano anche i dati: 49,19 milioni di italiani dispongono di uno smartphone secondo i dati della ricerca WeAreSocial, con un grado di penetrazione dell’83%. Un successo: in tutto il mondo solo due Paesi possono vantare percentuali più elevate – Corea del Sud, patria di Samsung, e Hong Kong – i quali però non dispongono di dati altrettanto deludenti in materia di mobile banking e di e-commerce via telefono: in Italia riguardano solamente il 24% e 23% della popolazione, rispettivamente (di contro, il mobile banking a Hong Kong raggiunge il 43%).
Ma non è solamente il cellulare in quanto oggetto che interessa all’italiano – sono gli smartphone italiani a solleticarne l’attenzione. Sia per il fattore-novità, sia per un senso di patriottismo tradotto nella tecnologia, l’idea di una compagnia di bandiera che esporti la qualità degli smartphone Made In Italy nel mondo ha periodicamente eccitato le fantasie di quei 49 milioni di utenti mobili.
Lo dicono i dati di ricerca di Google: quando nel 2014-15 la compagnia Stonex iniziò a promuovere il suo trionfale ingresso nella telefonia con una campagna pubblicitaria martellante e d’effetto, i risultati di ricerca per lo Stonex One schizzarono verso l’alto in tutte le regioni italiane – mentre solitamente gli smartphone italiani come argomento sembrano interessare solo agli abitanti del centro-Nord.
Tornando allora al quesito posto in apertura, possiamo riformularlo domandandoci: che fine hanno fatto i produttori di smartphone italiani?
Come chiunque altro, anche io mi sono rivolto a Wikipedia per trovare risposta: all’interno della lista “Lista di produttori di telefoni cellulari” viene dispiegato un rotolo di nomi e rispettivi Paesi di appartenenza. Scorrendo sino alla voce “Italia”, si nota l’incoraggiante presenza di cinque nomi: non male per il mercato italiano, orfano di leader e terra di conquista di aziende straniere (solo il colosso cinese Huawei dispone del 34% del mercato). Avvicinandosi però a questa targa digitale e soffiando a pieni polmoni, si potrà osservare lo spettacolo di una colossale nube di polvere alzarsi in volo: indizio evidente di un elenco non aggiornato da tempo.
Le aziende citate in qualità di produttori di smartphone italiani sono infatti le seguenti:
- Brondi;
- NGM;
- Olivetti;
- Onda Mobile Communication;
- Stonex.
Come già detto, l’elenco è incompleto: due aziende hanno variato tipologia di prodotti in vendita e nazionalità, altre non aggiornano più il proprio catalogo da tempo e la loro classificazione come “produttori di telefoni cellulari” è quindi da porre in dubbio o li rende valevoli quantomeno di una classificazione a parte o di un’annotazione.
BRONDI
Storico marchio tricolore, presente in Italia dal 1935 e entrato nell’immaginario grazie ai telefoni SIP e più recentemente per i cordless ed i telefoni ad accesso facilitato, destinati ad un pubblico più “stagionato”. Brondi dispone anche di una linea di smartphone, composta di due modelli: il Brondi 730 e il Brondi 620 SZ.
Entrambi i modelli vengono venduti con Android Nougat 7.0, e non sappiamo se siano aggiornabili ad Android Oreo. Tuttavia ci pare evidente che i dispositivi appartengano alla linea 2017, e che non sia attualmente in produzione una nuova serie per il 2019 – i nuovi spot pubblicitari annunciati sulla pagina Facebook dell’azienda sembrano promuovere solamente i feature phone, mercato di punta dell’azienda.
NGM
Forse il più famoso tra i produttori di smartphone italiani: NGM, nata nel 2003, in pochi anni ha raggiunto tutta l’Italia partendo dalla propria base a Santa Maria A Monte, in provincia di Firenze.

Ciononostante, la produzione rimane ferma: così come per Brondi, anche la serie You Color Smart è rimasta ferma al 2017, con Android Nougat 7.0 quale ultimo sistema operativo disponibile. In questo caso le motivazioni sono soprattutto economiche: così come racconta il quotidiano Il Tirreno, NGM sta vivendo un periodo di difficoltà proprio nel settore della telefonia, che contrariamente a quanto si potrebbe pensare non è l’unico in cui l’azienda toscana è attualmente impegnato (ci sono anche la pigiameria, tessile e il campo pubblicitario).
Cinquanta milioni di euro persi dal 2014 che si traducono in 16 licenziamenti: se infatti quattro anni fa la telefonia fruttava ad NGM un fatturato da 60 milioni di euro, oggi questo si è ristretto sino a 10 milioni, per una perdita totale di 500mila euro di incassi dal 2010 ad oggi. I licenziamenti non segnano l’estinzione di una quota importante di smartphone italiani: l’AD Stefano Nesi aveva anticipato il possibile reintegro del personale licenziato nel caso in cui le partnership previste con alcune società di calcio fossero andate in porto – ed è notizia proprio dello scorso ottobre che l’azienda sarà sleeve partner del Fiorentina. Una notizia positiva, che però non ci fa dimenticare le desolanti parole di Nesi e i 300mila euro di perdite registrate solo nel 2018.
OLIVETTI
Però, Olivetti. La grande Olivetti. La grande e irreprensibile Olivetti. Non sapevo facesse anche smartphone. E invece sì!

Cioè, faceva: nel catalogo online dell’azienda sono riuscito a trovare solo uno smartphone propriamente detto – lo StarTIM 1, con Android Gingerbread 2.3. Un sistema operativo del 2010. Passiamo oltre.
ONDA MOBILE COMMUNICATION
Nata a Roveredo in Piano, in provincia di Pordenone, Onda Mobile Communication ha poi aperto nuove sedi a Roma e a Pechino, espandendosi grazie alla sua linea di smartphone N1000/2000/3000/4000/5000 e tablet – prodotti in Cina ed esportati poi in Italia.
L’azienda, inglobata poi nella Telecomunicazioni industriali, è poi fallita e nel 2014 diversi dirigenti sono stati accusati di evasione fiscale per il periodo 2010-2011 – tra cui Michelangelo Agrusti, ex-presidente di Unindustria Pordenone, Giuseppe d’Anna e Giorgio Costacurta – con conseguente sequestro di immobili, conti bancari, ville e automezzi. Oggi il brand Onda è parte di Onda TLC: ma non è più annoverabile tra gli smartphone italiani, essendo la proprietà austriaca.
STONEX
Chi non conosce la vicenda di Stonex? Nel 2015 l’azienda guidata da Francesco Facchinetti – sì, proprio lui – e da Davide Erba lanciò una nuova linea di prodotti tecnologici e digitali, il cui cavallo di razza (e ariete di sfondamento in un mercato così affollato) sarebbe stato il Top Di Gamma Stonex One.

Nonostante le specifiche tecniche tutto sommato discrete (per un telefono di fascia media) e le due versioni che ne segnarono la vita commerciale (#Galileo prima e #DaVinci poi), ad affossare Stonex fu la campagna mediatico-pubblicitaria promossa dai suoi creatori. Facchinetti ed Erba puntarono quasi esclusivamente sull’identità italiana del progetto, falsando e distorcendo l’immagine di un device assolutamente non all’altezza dei Top di Gamma concorrenti: questo, e tante altre grottesche prodezze del duo (tra cui la guerra a WhatsApp, Telegram e GoPro, e altre che abbiamo raccontato IN QUESTO SPECIALE) hanno portato al naufragio del progetto.
Oggi Stonex è parte del colosso cinese Unistrong (uscendo quindi dalla lista di produttori di smartphone italiani), e nonostante l’assenza di una roboante campagna pubblicitaria, è rientrata nel mercato mobile puntando però ai tablet rugged con Windows e Android Oreo 8.0.
Dei cinque nomi della lista, tre sarebbero quindi da depennare – in quanto non più produttori di smartphone Made In Italy – mentre NGM e Brondi si classificano “in aspettativa”. Ma per rinfoltire l’elenco sarebbe in realtà sufficiente aggiungere le aziende che ancora oggi producono smartphone italiani (o che semplicemente hanno la proprietà in Italia, nonostante i device provengano dalla Cina).
ALLINMOBILE
Forse la più dinamica e promettente tra le società produttrici di smartphone italiani, ALLINmobile è presente in Italia dal 2016 e dispone di quattro modelli e di una lineup ispirata all’architettura italiana: Arena, Colosseo e Duomo, insieme all’outsider Bravo.
[COMUNICATO UFFICIALE]
L’azienda ALLINmobile comunica ai propri amici e clienti che questa mattina si è spento, nel calore della sua casa e dei suoi familiari, il CEO e Amministratore Alessandro Zulli.
— ALLINmobile (@allinmobileeu) 9 maggio 2018
La società specifica chiaramente la provenienza cinese dei propri prodotti, reclamando per sé però la fase di sviluppo del software e dell’elaborazione tecnica. Un connubio che sembra funzionare, considerando il lancio all’inizio del 2018 del nuovo modello Arena 7 – fermo però ad Android Nougat 7.0. Sfortunatamente, il 9 maggio di quest’anno è venuto a mancare l’AD e fondatore di ALLINmobile, Alessandro Zulli. Personalmente, spero che questa perdita non impedisca alla società di continuare la propria espansione sul territorio italiano.
KOMU
L’accusa di mascherare telefoni cinesi per device assemblati e realizzati in Italia non regge proprio per Komu: l’azienda è infatti stata fondata dall’italocinese Antonio Hu e oggi dispone di una presenza nel mercato discreta ma comunque stabile.

Come per i player più grossi, anche per Komu la crisi della telefonia in Italia deve aver pesato non poco nella valutazione della strategia produttiva per il 2018: nel catalogo Komu infatti l’unico dispositivo aggiornato ad Android Nougat 7.0 è infatti il modello K22, lanciato nel 2017. Gli altri dispositivi presenti sono ancora fermi ad Android Marshmallow 6.0 o Lillipop 5.1.
NODIS
Questa azienda di Cinisiello Balsamo, in provincia di Milano, entra nel 2014 nel mercato degli smartphone con una linea completa: il suo amministratore delegato, Enrico Mari, descrittosi a Wired Italia come “un uomo all’antica”, aveva optato per questo salto di qualità dopo gli incoraggianti dati di vendita dei suoi dispositivi cellulari – oltre 250.000 venduti solo nel primo anno di attività.

Il problema di Nodis è che anche i suoi smartphone italiani, parimenti al suo fondatore, sono un po’ all’antica: oltre a non essere disponibili all’acquisto sul sito ufficiale, sono tutti fermi ad Android Lollipop 5.1 – segno che forse il successo dei cellulari non si è ripetuto per gli smartphone. Oggi comunque Nodis preferisce puntare su altri prodotti di massa: elettrodomestici di vario genere e speaker portatili.
Cito, ma solo per amore di completezza, anche la napoletana Ekoore e l’italiana Mode: entrambi ancora presenti sul mercato italiano nel 2015 (Ekoore con la sua linea Ocean X, prima prova sul campo degli smartphone dopo anni passati a produrre tablet Android e Ubuntu, Mode con la lineup Life), sono poi scomparsi senza lasciare traccia. Citiamo anche Telit, società triestina che negli anni Novanta aveva avviato la produzione di telefoni cellulari più piccoli degli allora già compatti Nokia, grazie al supporto tecnico fornito da alcuni ex-tecnici dell’esercito – finendo però per essere acquisita dall’israeliana Dai Telecom nel 2003, dopo una forte crisi delle vendite (ringraziamo Alessandro per la segnalazione).
La lista finale dunque vede inclusi solo quattro produttori di smartphone Made In Italy ancora in attività: oltre a Brondi ed NGM, rientrano nel novero anche Komu e ALLINmobile; nessuno di questi – con l’eccezione di ALLINmobile – ha presentato un nuovo device nel 2018, sollevando molti dubbi e timori per il 2019. Che spero vivamente possa essere più roseo, e magari con qualche prova di coraggio in più.
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