No, Telegram non chiuderà. La notizia di un’imminente chiusura di Telegram è stata riportata sui social network e da parte di alcuni organi di stampa con la diffusione del risultato dell’inchiesta effettuata dal FSB, il successore del KGB.
L’errore compiuto comunemente è l’associazione della nazionalità (originaria, ma non attuale) del fondatore dell’applicazione, il magnate russo Pavel Durov, con la localizzazione dei server dell’app o della sua sede legale.
Ma siete pronti per scoprire perché Telegram non chiuderà?
Telegram non chiude, ma in Russia?
Telegram, l’app di chat fondata dal miliardario russo Pavel Durov, non chiuderà. Non succederà né in Italia né in Europa, né tantomeno negli Stati Uniti: la precisazione si è resa, oltre che doverosa, anche necessaria con la progressiva diffusione di fenomeni di disinformazione all’interno dei social network e di certe testate online, complice un comune errore di valutazione.
La notizia è tanto breve quanto spietata: Telegram dovrà cedere alle autorità governative russe del Federal Security Service le chiavi di crittografia delle chat, altrimenti potrebbe rischiare il blocco all’interno del Paese. Si tratta di una prospettiva allarmante per l’app di chat, che conta nella comunità russofona una delle sue più grandi basi d’utenza – insieme al Medio Oriente: a leggere la sentenza è stata il giudice Alla Nazarova, che ha applicato le normative introdotte dal governo nel 2016 in merito alla sicurezza nazionale. Secondo le leggi russe infatti tutte le piattaforme di messaggistica dovranno provvedere a fornire le chiavi di crittografia – se possibile – delle proprie conversazioni, nonostante poi comunque sarebbe necessaria l’autorizzazione di un mandato giudiziario per farne uso.

Telegram aveva deciso di rifiutare l’ordine imposto, pagando la multa da 14.000$ imposta dall’FSB l’anno scorso; oggi, dopo queste disposizioni rimane incerto il futuro dell’applicazione nel Paese. Stando agli avvocati di Telegram, sarebbe necessario un intervento dell’ente regolatore delle comunicazioni del Paese, il Roskomnadzor, per imporre un blocco dell’app in tutto il territorio della federazione. Basandoci su una grafica diffusa dal sito di informazione lituano Meduza, Telegram ha a disposizione due ulteriori processi – uno istituito dal Roskomnadzor, il secondo d’appello alla decisione qualora risultasse negativa per l’app (e viceversa, dato che l’ente governativo non accetterebbe passivamente un risultato sfavorevole) – per impedire che gli venga negata l’operatività in Russia.
Di conseguenza, l’applicazione non verrà bloccata – non nell’immediato. Ma perché allora alcune persone credono che Telegram potrebbe chiudere?
Telegram, l’app di chat “russa”
Uno dei più grandi luoghi comuni riguardo Telegram è la proprietà russa della piattaforma: come tutti i luoghi comuni possiede un fondo di verità da cui è originato – e, a ben guardare, qualcosa di più di un semplice fondo – ma che non corrisponde alla realtà, perlomeno sul piano legale.

Telegram non ha infatti nulla a che fare con la Russia: sin da quando il suo fondatore, Pavel Durov, fu costretto ad abbandonare la proprietà del social network VKontakte a causa di ostilità manifestate nei confronti del governo putiniano, Durov ha continuato a mantenere buoni rapporti con i russi pur tagliando ogni legame con la propria patria sul piano governativo.
Telegram non risulta registrato in Russia (sedi e proprietà viaggiano tra le Isole Vergini e Dubai) mentre non esistono server operanti all’interno del Paese; sarebbe stato perlomeno avventato da parte di una persona nella situazione di Durov lasciare che un Paese dimostratosi ostile sia nei propri confronti che in quelli di altri servizi di informazione disponesse di un margine di manovra così ampio sulla propria struttura tecnica.
Il blocco di Telegram minacciato dalle autorità è dunque esclusivamente riferito al territorio controllato dalla Federazione Russa (ed è comunque aggirabile dagli utenti grazie al supporto ai proxy integrato nell’app); le chiavi di crittografia sono relative invece alle chat cloud, ossia a tutte le conversazioni che si svolgono al di fuori delle “Chat Segrete” protette invece da crittografia end-to-end e dalla versione completa del protocollo crittografico proprietario MTProto.
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