La Stampa sbaglia a difendere la neutralità della rete con le fake news – Tecnologio
“Si leggono i giornali nello stesso modo come si ama: con una benda sugli occhi. Non si cerca di capire i fatti. Si ascoltano le dolci parole del capo redattore come si ascoltano le parole della propria amante.”
Marcel Proust, Il tempo ritrovato
È reato rubare a un ladro, uccidere un assassino, truffare un truffatore, qualora tutte queste deplorevoli azioni avessero come fine uno scopo più alto, più giusto?
Machiavelli risponderebbe affermativamente: d’altronde, il fine giustifica i mezzi. Ed allo stesso modo devono pensarla anche i redattori de La Stampa, quotidiano di diffusione nazionale collegato ad uno dei più grandi gruppi editoriali del Paese, la GEDI – proprietaria anche numerosi giornali locali (Il Piccolo, Il Tirreno), riviste (L’espresso, MicroMega), emittenti radiofoniche (Radio Deejay, Radio Capital).
Da un rappresentante del sistema d’informazione italiano mi sarei aspettato maggiore serietà nei confronti dei propri lettori quando, il 23 novembre scorso, il giornale pubblicò – sulla versione web, non sono certo che l’articolo sia giunto sino all’edizione cartacea ma spero di no – “Spagna e Portogallo mostrano com’è internet senza la Net Neutrality”.
Un titolo forte, d’impatto, che prosegue con tratti di catastrofismo ben peggiori proseguendo con il sottotitolo “Contratti basati solo su determinate aziende che tagliano fuori startup e concorrenza, ecco cosa potrebbe succedere senza leggi che proteggono l’uguaglianza dei dati”.
Come capirete bene, il pezzo parla della neutralità della rete: molti italiani non ne conosceranno nemmeno le basi, ma negli USA è diventato il principale argomento di discussione in seguito alla decisione dell’amministrazione Trump di abbatterla completamente, dopo gli interventi a favore del precedente Presidente. Con la complicità del chairman della Federal Communications Commission, Ajit Pai, Trump ha potuto abbattere un sistema di regole che consentiva lo sviluppo di tecnologie contrarie agli interessi delle Tlc, ossia dei grandi carrier delle telecomunicazioni che ora potranno distribuire un accesso differenziato alla rete utilizzando quale discriminante le disponibilità economiche dei fornitori di servizi.
Una “rete a due velocità”, come è stata chiamata da molti: secondo i più pessimisti infatti l’abolizione della net neutrality consentirà a compagnie come Verizon, AT&T e T-Mobile di fornire un collegamento ad Internet più lento agli utenti di aziende che non vorranno o potranno permettersi di pagare una tangente alla società; questo sistema favorirebbe una stagnazione del mercato che finirebbe per trasformarsi in un ristretto oligopolio. Paradossalmente, le ragioni di chi ha favorito l’abbattimento della net neutrality – molto più numerosi di quanto possiate pensare – prendono in causa proprio l’”eccessiva regolamentazione” la cui scomparsa dovrebbe garantire un ulteriore sviluppo dell’Internet.
Ecco. Questa premessa era necessaria per consentirvi di comprendere meglio il contesto all’interno del quale l’articolo sopracitato de La Stampa era nato e stato pubblicato; ma, evidentemente, non tutti hanno ben presente cosa la net neutrality sia o preveda, nè quali conseguenze il suo abbattimento possa comportare.
Secondo La Stampa, il carrier telefonico portoghese Meo ne rappresenta un plastico esempio. Anzi, no: secondo il deputato democratico per il Congresso Ro Khanna, di cui La Stampa non ha fatto altro che recuperare il popolarissimo tweet pubblicato il 27 ottobre scorso. Khanna mostrava a tutti i suoi follower (raccogliendo oltre 66.000 retweet e 50.000 Mi Piace) cosa sarebbe potuto succedere negli USA qualora la net neutrality fosse stata abbattuta pubblicando uno screenshot delle offerte del carrier Meo in Portogallo.
In Portugal, with no net neutrality, internet providers are starting to split the net into packages. pic.twitter.com/TlLYGezmv6
— Ro Khanna (@RoKhanna) 27 ottobre 2017
Sfortunatamente per Khanna, e anche per La Stampa, le tesi contro Meo non reggono: il quotidiano riporta infatti che Meo “da qualche settimana ha iniziato a offrire contratti con piani dati limitati ad app specifiche, se un cliente esce da questo recinto e decide di sfruttare il piano dati per connettersi ad altre app paga di più”. Ma non è vero: le offerte di Meo (e di Vodafone, che La Stampa tira ugualmente in ballo) si riferiscono ad una pratica comunemente diffusa, accettata ed anche popolare in tutta Europa, non solo nella penisola iberica – e che prevede che l’utente che sottoscriva il piano in questione possa navigare sui portali inclusi senza consumare i Gigabyte previsti nella promozione, senza che ciò gli impedisca di usufruire ugualmente di altri servizi. In particolare, mi riferisco alla promozione “Pass” introdotta da Vodafone (ne sono stato omaggiato proprio quest’oggi nella sua versione video-free per la visualizzazione a sbafo di Netflix, YouTube e compagnia cantante) prima in Spagna – come appunto ripreso da La Stampa – e poi in Italia e che ha immediatamente riscosso ampio successo.
Questo tipo di promozione non costituisce un’infrazione alla net neutrality perché:
- l’offerta non limita l’utilizzo di altre piattaforme – viceversa, in assenza di neutralità della rete i pacchetti sarebbero esclusivi ed il gestore garantirebbe un trattamento preferenziale all’azienda partner in termini di velocità di connessione e prestazioni;
- l’offerta è estensibile a qualsiasi altra realtà digitale: scorrendo i termini di sottoscrizione si legge che “l’elenco, che sarà costantemente aggiornato con eventuali integrazioni, potrebbe subire variazioni per motivi indipendenti dalla volontà di Vodafone (ad esempio, su esplicita richiesta di social network o chat di farne parte o meno)”;
- l’applicazione di un’offerta che violasse la neutralità della rete non solo sarebbe contraria alle norme europee già in vigore dall’estate 2016 (le linee guida stilate dall’Autorità Europea della Regolazione del Settore delle Comunicazioni – anche chiamata BEREC), ma anche a quelle del DDL Quintarelli, approvato alla Camera e in fase di revisione in Senato che, se approvato, regolamenterebbe in maniera ancor più stringente il campo d’azione dei provider – consentendo ad esempio la disinstallazione dei bloatware – e per questo criticato da molte associazioni di settore ma di cui non si esclude la prossima applicazione.
Quest’articolo non avrebbe avuto senso se qualcuno, in Italia, si fosse preso il disturbo di tradurre e pubblicare un analogo intervento (“If Portugal is a net neutrality nightmare, we’re already living in it“) che su The Verge – testata online d’informazione tecnologica che nelle ultime settimane ha preso parte, e con veemenza, alla campagna a favore della net neutrality – ha visto il giornalista Adi Robertson confutare il tweet di Ro Khanna.
“Titoli sensazionalistici a proposito di un infernale Portogallo privo di leggi a favore della neutralità della rete trasformano un complesso dibattito su una policy imperfetta in una battaglia bene-vs-male”
Adi Robertson
Personalmente, sono completamente a favore della neutralità della rete, e saranno proprio gli Stati Uniti – e non il Portogallo, o la Spagna – a dimostrarci le conseguenze del suo abbattimento (che finora sono state solamente presunte). Ma, in definitiva, non è un problema che interessi – per ora – nè l’Italia, né l’Unione Europea (anche se non bisogna mai abbassare la guardia come segnala il segretario dell’AgCom, Antonio Nicita).
Fortunatamente.
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