Altro che Battlefront: il vero problema delle microtransazioni è su Android – Tecnologio

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[bs-quote quote=”“Chi vuol essere ricco in un anno, in capo a sei mesi pende da una forca”” style=”style-10″ align=”center” author_name=”Miguel de Cervantes” author_job=”Romanziere e drammaturgo” author_avatar=”https://www.appelmo.com/wp-content/uploads/2017/11/Miguel_de_Cervantes_lithography.png”][/bs-quote]

Chiunque non sia vissuto nelle ultime settimane sotto una roccia, o non sia iscritto al mio canale Telegram (posso forse biasimarvi?) avrà sicuramente sentito parlare – anche solo per caso, di sfuggita, senza interessarsene – del controverso caso delle microtransazioni sul nuovo sparatutto fantascientifico del momento, Star Wars Battlefront II.

Il nuovo gioco realizzato da Electronic Arts e giunto da qualche giorno negli store di elettronica e di settore, ha saputo dividere più di ogni altro titolo pubblicato finora la comunità dei videogiocatori. La protesta era stata generata inizialmente dal massiccio impiego delle microtransazioni: l’utente, all’acquisto della copia fisica o digitale, non otteneva l’intera offerta promessa da trailer, annunci e dichiarazioni pubbliche, ma solamente una sua percentuale. Il resto sarebbe stato sbloccato successivamente attraverso l’accumulo della valuta in-game (i Crediti, Imperiali o Della Repubblica) garantita dal gioco quale premio al termine di ogni sessione. Fino a questo punto, nulla si discosta dal canone: la scintilla che ha dato fuoco alle polveri dell’indignazione è stata però la quantità spropositata di ore necessarie da trascorrere davanti allo schermo del proprio PC o Smart TV per sbloccare solamente uno dei tanti personaggi (almeno 40, si era vociferato).

Lascerò perdere gli aneddoti che sono intercorsi da allora sino ad oggi, ma il risultato è stato per molti versi eclatante: il blocco completo del sistema delle microtransazioni, il cui impatto sul sistema di gioco – sempre che fosse già così sbilanciato a favore dei cosiddetti “whales”, ossia i giocatori disposti a spendere grandi quantità di denaro per acquistare immediatamente i potenziamenti in-game – dovrà essere rivisto.

Vedere che la voce stentorea del gaming tradizionale ha avuto la meglio sulla presunta avidità dei grandi developers (a torto o ragione, non importa: non è questo il punto) ci dimostra ancora una volta che il mondo del gioco mobile è ancora ben lontano dal possedere la sua stessa importanza, impatto, influenza socioeconomica e culturale – nonostante i proclami degli studi di settore. Si tratta di una storia vecchia come gli smartphone: la variegata eterogeneità delle dotazioni delle macchine da gioco, la dimensione portable e dunque poco adatta a lunghe narrazioni e generalmente l’uso intermittente da parte dell’utente medio dei titoli mobili ha scoraggiato la grande industria al rilascio di giochi denominati nel gergo videoludico “tripla A”, ossia a costose produzioni con trame approfondite e design dal dettaglio michelangiolesco.

I giochi mobili sono dunque considerati come appartenenti ad una categoria inferiore del gaming, e forse per certi versi è vero; allo stesso tempo però la ripetizione degli stessi archetipi narrativi in entrambe le dimensioni mi spinge a pensare che effettivamente, nel profondo, il gioco mobile e su console (o PC) non siano poi così diversi. Ossia: le case di sviluppo avide oltre ogni limite ci sono ovunque, sia su smartphone che su PlayStation.

Verrò al dunque. Con una base di un milione di utenti attivi al mese e un totale di venti milioni di download su Google Play, War Robots è diventato popolare non soltanto nell’iniziale bacino di diffusione (la Russia) ma in tutto il mondo e soprattutto tra tutte le fasce d’età. Ma nel momento in cui il team di sviluppo ha venduto il gioco al colosso Mail.ru – sì, lo stesso che ora possiede il social network VKontakte – tutto è andato storto: si sono moltiplicate le microtransazioni, tutti i robot rilasciati nell’ultimo anno e forse più possono essere sbloccati solamente dietro un pagamento in valuta reale – alcuni raggiungono il costo di 300€ l’uno – o l’accumulo di moneta in-game, in quantità e a fronte di termini talmente assurdi che nessun giocatore tenterebbe veramente l’impresa.

L’esatta cronologia degli aggiornamenti di War Robots è stata raccolta e raccontata dal blog Mech Spectrum, ma sarà sufficiente precisare il numero di transazioni economiche proposte e incoraggiate dal sistema di gioco per rendersi conto della gravità della situazione:

  • un banner pubblicitario a tutto schermo dove vengono visualizzati i robot acquistabili dietro pagamento;
  • due diversi sistemi di loot box (uno denominato “Mercato Nero”, il secondo “War Robots Royale”; il drop-rate di entrambi vorrebbe essere casuale, ma noterete che i premi rilasciati sono sempre di scarsissimo valore, oltre ad essere sempre uguali);
  • una sezione dedicata agli smart pack (generalmente composti da robot+armi) acquistabili principalmente con valuta reale;
  • nuovi “incarichi bonus” dove si incoraggia l’uso dei pagamenti a favore di premi quantificati nella valuta Premium del gioco (l’Oro, contrapposto all’Argento ed ai Punti-Ricerca più facilmente ottenibili) e per nulla paragonabili nella quantità agli incarichi sbloccabili attraverso le sessioni di gaming giornaliero.

L’aberrazione che dunque molti giocatori avevano pronosticato con Star Wars Battlefront II è già accaduta con War Robots – più piccola nel formato, più estesa nei contenuti e nell’impatto sui giocatori. War Robots dispone ancora adesso di una valutazione PEGI 7 su Google Play, in totale disprezzo ai TOS dello store che prevedono una classificazione ben più matura per i giochi che impiegano simili metodi di monetizzazione per impedire ai minori di cadere vittima del gioco d’azzardo videoludico, così come i tribunali belgi sono prossimi a definire il meccanismo del loot boxing.

Se EA avesse avuto mano libera su Battlefront II, avrebbe probabilmente rovinato l’esperienza di gioco trasformando il titolo da un pay-to-play ad un pay-for-win; Pixonic invece, forte della totale impunità mediatica garantitale dalla marginalità del gaming mobile (la campagna di protesta dei giocatori “#BoycottPixonic” ha avuto ben poco impatto sui redditi dell’azienda), continuerà incontrastata a mietere vittime. E insieme a lei molte altre software house che operano nel settore, che pochi contestano perché le microtransazioni sono nate negli smartphone, e lì prosperano

Qualcuno pensi ai bambini, anche a quelli che giocano.

Come sempre, vi lascio ad alcune letture per approfondire quanto scritto e per incoraggiare la discussione nei commenti:

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