Superata già da un anno la maggiore età, ci si aspetterebbe da Google un comportamento più maturo, responsabile, serio: e invece una tra le più grandi multinazionali del mondo, inserita ogni anno tra i cinque brand più influenti del pianeta e capace di produrre fatturati superiori ai bilanci annuali di molti (piccoli) Stati, continua a inventare, stupire, esagerare dimostrando ancora l’energia e l’entusiasmo di chi è ancora agli inizi del proprio percorso aziendale, ricco di potenziale ed aspettative. Indagando con occhi curiosi, ma anche con sapiente intuito affaristico, sono molti i successi di Google che potremmo elencare – anche se in questo approfondimento ne abbiamo selezionati solo tre; tuttavia, non vanno dimenticati nemmeno i fallimenti di Google, e tutte quelle volte che la società ha dimostrato una miopia commerciale e promozionale raramente osservata altrove.
Tra programmi, dispositivi, social network e smartphone, abbiamo dunque selezionato non diciannove esempi (come gli anni appena compiuti dall’azienda), ma “solo” dieci dimostrazioni che anche la società di Mountain View, ogni tanto, sbaglia – così come può anche riscuotere acclamazioni e consensi, disattendendo le disastrose aspettative iniziali. Siete pronti per scoprire tutti i migliori successi e fallimenti di Google?
The Good…
#1 – Google Assistant
Avremmo desiderato iniziare questa classifica citando il più chiaro tra i successi di Google – Android: senza il sistema operativo della casa di Mountain View oggi probabilmente questo sito parlerebbe di app iOS, non esisterebbe oppure sarebbe dedicato all’esposizione delle migliori app di qualche sistema operativo tanto in voga nei primi anni d’espansione del settore degli smartphone, come PalmOS o Symbian.

Ciò detto, Google Assistant è la rappresentazione plastica delle capacità di Google di operare con assoluta sicurezza e tranquillità anche in ambiti a lei completamente estranei. Se in passato il mantra degli utenti Android, in risposta agli sberleffi di quanti traevano magre conclusioni nel confronto tra Siri e Google Now, era che “Google Now è un assistente virtuale silenzioso votato alla produttività”, oggi la situazione non si è modificata. Il Google Assistant rimane un discreto e silenzioso maggiordomo – almeno per noi italiani, data la rumorosissima assenza del supporto alla nostra lingua, per ora – che, dopo un anno dalla presentazione, ha già dato prova di essere in grado di sostenere il confronto con la concorrenza più agguerrita, tra cui Siri, Alexa e Cortana.
Il successo riscosso dal Google Assistant è riscontrabile nelle vendite, più che positive, dell’assistente domestico Google Home – che dovrebbe ricevere tra poco una seconda versione, più aggiornata – oltre che dal feedback positivo di quanti hanno potuto sperimentarlo sia nei propri device Nougat e Oreo, sia (ma in numero decisamente inferiore) all’interno dell’app di chat Allo. Ma la scelta più lungimirante è stata l’apertura alle terze parti con il lancio delle Google Actions: grazie a questa feature tutti gli sviluppatori esterni sono in grado realizzare comandi personalizzati per i propri dispositivi, e l’arrivo del Google Assistant su tutta la gamma di elettrodomestici intelligenti LG è soltanto l’ultima testimonianza di un network in continua espansione.
#2 – Google+
Bistrattato dai critici, ma anche dalla sua stessa madre, Google+ non ha mai goduto dei favori della stampa ma nemmeno di Google, che dedica al proprio social network di riferimento solamente sporadici update che non ne hanno mai rivoluzionato la struttura, nè il funzionamento.

Ciononostante, Google+ è ancora qui: dimostrando una resilienza fuori dal comune, capace di sopportare ogni colpo della sorte ma soprattutto della stampa – che periodicamente lancia i propri strali contro un social network colpevole unicamente di esistere, e resistere – la piattaforma oggi possiede quasi 400 milioni di utenti attivi al mese (molto più del numero di MAU di Snapchat e Telegram combinati), principalmente concentrati nelle communities di riferimento.
Google+, nonostante un’analisi superficiale potrebbe portare a pensare diversamente, dispone di feature uniche nel suo genere che hanno consentito alla piattaforma di differenziarsi da Facebook – nonostante l’intento iniziale di Google fosse proprio lo sviluppo di un social network che corrispondesse, tratto su tratto, alla creatura di Mark Zuckerberg. Sfortunatamente per Mountain View, storicamente le persone hanno sempre preferito il blu al rosso, e così Google+ si è dovuto reinventare.
Grazie alla possibilità di caricare immagini senza compressione, rapidamente Google+ ha collezionato una vasta user base di fotografi, appassionati del “food porn” e delle altre forme di estetismo visuale che comunque non termina l’intera popolazione digitale, entusiasta sia delle Collezioni – raccolte di post, immagini o video che ogni utente può decidere di creare e/o seguire, per certi versi simili alle pagine Facebook – sia dei gruppi di condivisione. Sfruttato soprattutto da sviluppatori e professionisti della programmazione in diretto collegamento con Google Play, grazie ai collegamenti diretti dello store con la piattaforma – d’altronde, il 77% degli utenti su Google+ lavora appunto nell’ambiente informatico.
#3 – Google DeepMind
L’ultima entrata, forse un po’ a sorpresa, nella nostra lista dei più grandi successi di Google del 2017 è Google DeepMind: la (ex) sussidiaria di Google dedita allo sviluppo di intelligenze artificiali – ora passata sotto il controllo di XVI Holdings Inc, la nuova società-ombrello che raccoglie tutte le ultime aziende ancora sottoposte a Google LCC (ex-Inc).

Non soltanto infatti l’azienda di Mountain View ha anticipato la concorrenza – che solo ora, e unicamente nella forma di Microsoft, prende provvedimenti per arginarne lo strapotere nel settore – ma parrebbe essere proprio sul punto, ogni mese, di aggiungere un nuovo tassello sul mosaico del futuro della tecnologia: le intelligenze artificiali. Dai videogiochi ai movimenti autonomi, sino alla recente competizione al popolare gioco asiatico GO che ha visto l’AI AlphaGO vincere contro ogni avversario (o gruppo di avversari) umano, forse le creature di Google DeepMind potrebbero raggiungere un grado di perfezione fin troppo superiore alle aspettative. Alimentando le ansie di noti detrattori delle AI – tra i quali, forse un po’ a sorpresa, spunta anche Google stessa.
#4 – Pixel Phone
Come il Google Assistant, anche gli smartphone Pixel si sono confermati tra i successi di Google – e non avrebbero potuto fare altrimenti. Dopo aver improvvisamente virato il timone della società verso le acque della commercializzazione di massa della propria linea di smartphone (fino a quel momento appannaggio principalmente di appassionati e Googlers), l’avventura dei Pixel Phone si sarebbe potuta concludere unicamente in due modi: un clamoroso insuccesso o una piacevole riuscita dell’intera operazione.

Nonostante gli smartphone della linea Pixel non siano naturalmente sfuggiti ai tipici errori dilettanteschi di chi si trova agli esordi nel mercato globale, persino i soli dati provenienti da Verizon – carrier statunitense, le cui vendite non fuoriescono dal territorio USA – ci indicano che Google avrebbe venduto almeno due milioni di unità. Risultati incoraggianti che hanno reso possibile l’acquisizione di parte della linea tecnico-produttiva di HTC solo qualche settimana fa, insieme alle competenze degli ingegneri della compagnia già autori della struttura hardware della prima serie dei Pixel Phone.
Google non diventerà una casa di produzione di smartphone – non è mai stato il suo obbiettivo: l’annuale rilascio dei Pixel Phone potrà però diventare per tutti i rappresentanti dell’industria di settore un appuntamento obbligato, per misurare la bontà dei propri prodotti a confronto con (quello che dovrebbe essere, perlomeno) lo standard produttivo dell’universo Android.
#5 – Google Glasses
L’ultimo successo di Google incluso in quest’edizione è anche il più marginale il termini commerciali, anche se probabilmente per qualcuno ha già il sapore della più dolce tra le rivincite.

Ridicolizzati sino all’inverosimile, i Google Glass – gli occhiali intelligenti di Google, di cui abbiamo parlato a lungo in QUESTA Guida per Nuovi Utenti – sono stati poi gettati da Google nel grande cesto delle invenzioni troppo avanguardistiche per l’epoca; anche se si potrebbe addurre il costo esagerato quale causa principale del fallimento di allora, è possibile che fosse piuttosto l’idea di indossare un paio di occhiali dotati di schermo a lasciare perplessi i consumatori.
Oggi, con l’arrivo degli Snapchat Spectacles, dei visori VR e della realtà aumentata e la progressiva dimestichezza del grande pubblico nei confronti di una terminologia solo cinque anni fa considerata esclusiva competenza di nerd e ingegneri informatici, forse i Google Glass avrebbero avuto più chances di successo; quello che però è sicuro è che l’adozione nel campo dell’aviazione civile degli occhiali di Google ha donato ai wereable una seconda vita, e soprattutto tanti titoli riparatori nei media nazionali ed internazionali.
… And the Bad
#1 – Google Spaces
Avrebbe dovuto lanciare il formato dei forum, abbandonato dalla comunità di Internet un po’ per l’arrivo di nuove soluzioni di interazione sociale – i gruppi Facebook, i supergruppi Telegram, le chat private – un po’ per la mancata evoluzione del formato, rimasto saldo (o meglio, incastrato) nella sua dimensione ormai antiquata.
Mentre però i forum continuano la propria attività coesiva prelevando nuovi utenti dal ramo più “stagionato” delle user base, Google Spaces non ha saputo fare breccia nel cuore proprio di nessuno, a parte forse qualche gruppo di irriducibili Googlers. Un po’ app di messaggistica, un po’ forum online, Google Spaces permetteva di radunare una comunità virtuale attorno a topic di discussione, sfruttando il proprio account Google per autenticarsi e lasciare un proprio messaggio, pensiero, opinione.

Forse avrebbe avuto bisogno di più tempo per evolversi e trovare una propria nicchia in cui espandersi, forse il formato era “rotto” già in partenza: sta di fatto che Google Spaces non ha potuto nemmeno festeggiare il suo primo compleanno: è stato definitivamente chiuso da Google il 17 aprile 2017, dopo poco più di nove mesi di attività.
#2 – Project Ara
Forse il più eclatante tra gli insuccessi di Google di quest’anno: il Project Ara, il mirabolante e attesissimo smartphone modulare simbolo di un futuro forse più utopico che concreto.

È curioso notare che ogni società che sia tanto fortunata da superare il lustro di vita tenda a sviluppare un progetto, perennemente fermo al suo stadio embrionale, che nonostante le attese non vedrà probabilmente mai la luce, ma attorno al quale si forma spontaneamente un culto messianico. È successo a ValvE con l’ormai abbandonato Half-Life 3 (tanto desiderato da diventare un meme di Internet), è accaduto a Disney con il terzo capitolo della sua saga videoludica Kingdom Hearts, e la storia si è ripetuta anche con il Project Ara.
Il device sarebbe dovuto essere l’avanguardia di un movimento più ampio, stravolgente ma soprattutto rivoluzionario per l’industria di settore: un telefono modulare i cui componenti – processore, schermo, fotocamera – sono sostituibili in ogni momento, mantenendo intatta unicamente la struttura di contenimento.
Questo avrebbe completamente eliminato la figura del produttore di cellulari così come oggi viene intesa, a favore di una dimensione più fluida del concetto stesso di smartphone; un volo pindarico, schiantatosi alla luce delle deludenti vendite di tutti quei device che avevano tentato un primo, timido approccio alla modularità, tradottosi con il definitivo abbandono del fu Project Ara.
#3 – Boston Dynamics
Oggetto di ammirazioni e soggetti di meme e parodie, i robot della Boston Dynamics, la società esterna nata da una costola del MIT di Boston ed acquisita da Google più di dieci anni fa, è stata venduta proprio quest’anno alla giapponese Softbank, anch’essa specializzata nel campo dell’industria robotica.
Dato l’ormai storico apparentamento con la casa di Mountain View, pochi si sarebbero aspettati l’avvio delle trattative per la vendita dell’intera sezione in blocco nel 2016 – specialmente alla luce dei risultati più che positivi raggiunti nel settore della ricerca sperimentale, dai robot che saltano a droidi-facchini. Evidentemente Google non ha saputo mai tradurre la genialità degli Atlas, dei BigDog e di tutti quei goffi scarafaggi di metallo e gomma in un qualcosa di commercialmente sfruttabile, al di là delle commesse militari del governo USA. Com’è naturale che sia, i robot tornano in Giappone, segnando il fallimento di Google nel mondo della robotica d’impresa.
#4 – Politica Europea
Il 2017 verrà ricordato nelle sedi di Mountain View come l’annus horribilis di Google in territorio europeo: dimostrando un vigore senza precedenti, le autorità europee per la libera concorrenza – guidate dalla Commissione Europea – hanno scatenato un’offensiva su larga scala contro le multinazionali della tecnologia arrivando a colpire indiscriminatamente sia Microsoft, che Amazon, che Facebook.

Ma è indubbio che i rinnovati colpi all’assetto dell’azienda nel Vecchio Continente rappresentino uno dei più grandi fallimenti di Google in materia di friendly relationship, e soprattutto di fair play e rispetto delle regole. Se negli USA il mercato è molto più incline alla sopportazione dei cartelli economici che vengono spontaneamente a crearsi con l’espansione e la contrazione dei mercati, in Europa – dove i governi sono ben più d’uno, e difficilmente controllabili attraverso i classici meccanismi d’influenza lobbistica – la situazione è ben diversa.
E se il motto degli Stati Uniti è sempre stato “no taxation without representation”, anche Google scoprirà a sue spese – dopo la multa-record da oltre due miliardi di euro per una gestione anticoncorrenziale dei risultati di ricerca – che nell’Unione Europea, dopo oltre duecento anni, la situazione è rimasta sempre la stessa: “no representation without taxation”. Se finora il “double dutch sandwich” è stato il piatto preferito di Google per scappare dalla ferrea fiscalità europea, oggi potrebbe risultarle molto indigesto.
#5 – Play Protect
Poco più che un infante, appena arrivato nella famiglia di Google, Play Protect si è però dato da fare per dimostrare di poter aspirare – ed infine raggiungere – uno degli ambiti scranni delle nostre classifiche: i peggiori fallimenti di Google del 2017.

Nonostante le premesse, l’enfasi nell’annuncio e le speranze riposte, Play Protect sembra aver per ora deluso le aspettative, fallendo nel tentativo di bloccare, una volta e (forse) per sempre, l’uploading maligno di app infette, malware, trojan. La natura infatti libera ed open-source di Android condanna anche il suo store di applicazioni ufficiale trasformandolo nel più sicuro tra i market insicuri di applicazioni. Naturalmente la situazione non è così drammatica: alcuni pensano perfino che i report dei laboratori di ricerca sulle nuove minacce scoperte su Google Play siano appositamente gonfiate per rendere la propria attività indispensabile agli occhi del consumatore – e, se fosse vero, non potremmo non sentirci responsabili, almeno in parte.
Comunque la si voglia porre, in materia di sicurezza Android ha ancora un po’ di terreno da recuperare per raggiungere gli standard che ogni utente si meriterebbe – punteggi che, sia chiaro, nemmeno Apple riesce a segnare; e l’ininterrotta sequela di malware ogni settimana trovati su Google Play, seppur nella loro ridimensionata gravità, sono comunque un punto a sfavore di Play Protect.
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