Alcune settimane portano grandi novità nel mondo dell’informatica, della tecnologia mobile e delle app ad essere raccontate nella nostra Rassegna Stampa, mentre altre ancora si limitano ad una timida esposizione di eventi più o meno rilevanti che vengono però puntualmente riferiti. Con l’arrivo di settembre e la ripresa della stagione lavorativa, ritorna anche la Rassegna Stampa, il reportage completo degli accadimenti più interessanti della settimana e in questa edizione nel suo formato mignon – gli ultimi giorni di agosto tendono ad essere quelli meno entusiasmanti di tutto il periodo estivo.
Siete pronti per scoprire le tre storie digitali (ed il video) della settimana? Vi ricordiamo che potete sempre raggiungerci sul nostro canale Telegram dove quotidianamente aggiorniamo i nostri lettori sulle principali news della giornata!
Approfondimenti
Telegram si aggiorna alla versione 4.3.0, forse un po’ troppo in fretta
Settembre è appena iniziato, e gli sviluppatori dell’app di chat Telegram vogliono immediatamente dare a vedere di non aver passato l’estate ad oziare come i propri colleghi di WhatsApp, ma piuttosto scrivendo codice ed elaborando nuove implementazioni – per le quali hanno già lanciato un concorso per la selezione di nuovi tester.
Telegram 4.3.0 non si qualifica come un major update per l’applicazione in quanto l’assenza di una feature di spicco – come lo sono stati i canali, i pagamenti tramite bot, l’editor di temi in passato – è mascherata da una serie di piccole innovazioni, prima tra tutte il sistema di notifica delle menzioni nelle chat di gruppo. A partire da questa versione infatti qualora un utente venga menzionato direttamente in un gruppo o supergruppo, verrà notificato da un’icona a forma di “@” nell’anteprima della chat, la quale una volta aperta mostrerà un bottone fluttuante che, se tappato, porterà l’utente direttamente al primo messaggio a lui riferito.
Anche gli stickers hanno ricevuto però le attenzioni dei developers, dato che da Telegram 4.3.0 non solo sarà possibile aggiungere uno sticker singolo tra i propri “Preferiti” (una nuova sezione inserita nella schermata di selezione degli stickers), ma i gruppi più grandi – con almeno 100 membri – potranno impostare uno specifico sticker pack quale “Set di sticker del gruppo”, consentendo ai partecipanti alla conversazione di servirsene senza doverlo per forza aggiungere alla propria collezione privata.
Altre piccole implementazioni, ma di eguale importanza, riguardano l’aggiunta di un’icona ad indicazione della qualità del segnale nella schermata relativa alle chiamate VoIP, l’inserimento dell’”inoltro multiplo” – per inoltrare lo stesso contenuto a più conversazioni contemporaneamente. Dal punto di vista multimediale, invece, quando visualizzerete una fotografia direttamente dall’elenco dei media condivisi da una chat, potrete immediatamente collegarvi al punto della conversazione in cui l’immagine era stata pubblicata; va anche detto che ora le Live di Twitch sono supportate dal video player dell’app anche in modalità PiP.
Citiamo poi il redesign della schermata di invito dei contatti non ancora presenti su Telegram quale ultima novità di quest’aggiornamento, che però – stando alle lamentele dei primi tester – non sembrerebbe essere stato a sufficienza testato prima del rilascio ufficiale. Alcuni bug, soprattutto relativamente alla modalità di menzione, rimangono ancora da correggere.
Potete leggere di più a proposito su:
- Telegram Blog (inglese)
Il re è nudo, e anche Instagram
Non è stata una settimana felice per Instagram: nonostante il social network abbia introdotto il supporto alle Storie anche nella propria versione web, un gruppo di hacker sembra essersi impossessato di circa 6 milioni di email e numeri di telefono appartenenti ad altrettanti profili, derubati di tali dati durante una razzia durata circa 12 ore.
Il gruppo di hacker non si è dato un nome ma viene comunemente identificato in questi giorni dalla stampa con il nome di Doxagram, riferito però al database organizzato dal team per la vendita delle informazioni rubate nel deep web. Si è trattato di un lavoro veloce, preciso e pulito, tanto che sembra siano stati gli stessi hacker ad avvertire indirettamente Instagram dell’avvenuto furto di informazioni quando, qualche giorno fa, il profilo dell’attrice Selena Gomez ha iniziato a condividere immagini di nudo appartenenti all’ex-fidanzato, il cantante Justin Bieber.

In quale modo gli hacker sono riusciti a mettere le mani sull’account di Selena Gomez? Le ricerche effettuate dagli analisti di Kaspersky Lab hanno portato alla luce un bug di una vecchia versione dell’app – la 8.5.1, ora già riparato – capace però di funzionare con ogni profilo, indipendentemente dal sistema operativo o dallo stato di aggiornamento dell’app, e di permettere la ruberia dei suoi dati di contatto.
Gli hacker non dovevano infatti far altro che inviare al servizio una richiesta di reset delle credenziali d’autenticazione, intercettando il messaggio inviato attraverso un server proxy per inserire il nome di qualsiasi account desiderassero penetrare; così facendo, Instagram inviava in risposta un messaggio in formato JSON contenente i dati personali del profilo, tra cui email e/o numero di telefono ad esso collegati.
Fortunatamente per i 6 milioni di utenti coinvolti dal leak (tra cui le 50 più seguite celebrità di Instagram: Lady Gaga, Emma Watson, Snoop Dogg) gli hacker non sono stati in grado di ottenere anche le password degli account – si reputa siano riusciti ad accedere al profilo di Selena Gomez per altre vie. Ciononostante, quei dati vendono bene, e sembrano essere tutti autentici: stando all’analisi di un sample di 10.000 profili pubblicati dal team, tutte le email ed i numeri di cellulare sembrano corrispondere, mentre già nelle prime ore di vendita erano già state registrate transazioni per 500 dollari, frutto della vendita a 10$ l’account.
Un consiglio? Abilitate l’autenticazione a due fattori.
Potete leggere di più a proposito su:
- Ars Technica (inglese)
- The Verge (inglese)
- Engadget (inglese)
L’occhio di Google è più lungo di 3 anni
Il 23 luglio di quest’anno la casa di Mountain View aveva annunciato, con grande orgoglio, la cessazione di ogni attività di scanning delle email degli utenti GMail per fini promozionali, sino a quel momento effettuata per fornire pubblicità contestualizzate con il contenuto della posta elettronica ricevuta.
Un proposito lodevole che il pubblico ha dato segno di apprezzare, ma che in definitiva si è rivelato essere più un’operazione mediatica che un atto di vera volontà positiva. A testimonianza di quest’affermazione non solo le condizioni che già allora portarono all’annuncio, ma anche la possibilità che quest’attività di scanning possa tornare in futuro, qualora le condizioni del mercato lo richiedano.
Non fu infatti per amore della privacy o per il rispetto dei dati personali degli utenti che Google decise di interrompere la monetizzazione dei contenuti presenti su GMail (nello specifico, le email degli utenti), ma in preparazione ad un processo frutto di una class-action istituita nel 2015 che avrebbe avuto luogo il mese successivo. Google aveva tentato di presentare la propria attività quale elemento di un business più grande e consuetudinario, ma il giudice federale ha poi spinto per un accordo preliminare che ha portato Google alla sospensione per tre anni delle attività di controllo a fine di lucro della posta elettronica, considerata “intercettazione” dall’accusa.
Inizialmente la società era riuscita ad ottenere il permesso di scansionare le email una volta giunte nella casella, ma il giudice non ha voluto sentire ragioni e ha successivamente esteso il divieto.
Leggendo però il testo dell’accordo preliminare, si può notare che:
“In the Settlement Agreement, Google affirmatively represents “that it has no present intention of eliminating the technical changes [required by the Settlement] after the expiration of the term of the injunction. Google believes, however, that the architecture and technical requirements for providing email services on a large scale evolve and change dynamically and that a longer commitment may hinder Google’s ability to improve and change its architecture and technology to meet changing demands.“
Il che significa che, una volta terminati i tre anni di divieto, l’azienda potrebbe riprendere la propria attività di advertising mirato, così come già compie Facebook analizzando i messaggi privati su Messenger. A meno di eventuali sorprese durante l’udienza stabilita per l’”accordo finale” l’8 febbraio 2018 a San Jose, California.
Potete leggere di più a proposito su:
- Ars Technica (inglese)
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