Telegram in Indonesia non è più la benvenuta: nonostante l’app di chat sia riuscita a rimanere operativa nel Paese asiatico, schivando abilmente le accuse di favoreggiamento delle forze terroristiche dell’ISIS, Telegram dovrà faticare per ottenere nuovamente il favore delle autorità, specialmente in un contesto esplosivo come quello indonesiano.
Siete pronti per scoprire tutto ciò che occorre sapere su quanto è accaduto a Telegram in Indonesia, ma soprattutto perchè questi avvenimenti sono la prova dell’esistenza di un problema ben più grave dell’applicazione?
Telegram e l’ISIS, un problema (non solo) indonesiano
In mancanza di statistiche ufficiali non siamo in grado di quantificare la presenza di Telegram in Indonesia, il più grande Paese mussulmano nell’area asiatica, ma sicuramente le minacce avanzate dal governo locale di bloccare l’applicazione permanentemente hanno suscitato una reazione tale da permetterci di evitare di derubricarne la presenza a trascurabili percentuali.
Tutto è iniziato lo scorso venerdì 14 luglio, quando l’app di chat è stata bloccata nella sua versione web, ma nei fatti si è trattato a sua volta di un evento frutto di mancate risposte ed incomprensioni tra il team di sviluppo dell’app e le autorità indonesiane, a loro volta giunte sino a Telegram in seguito alle ultime vicende che hanno segnato la pacifica coesistenza tra i gruppi etnici e religiosi del Paese.

Da qualche tempo infatti l’Indonesia, considerata un modello di governance da parte degli osservatori internazionali per via della pacifica coesistenza tra la maggioranza mussulmana della popolazione e le minoranze cristiane all’interno di un sistema democratico, ha conosciuto un rapido declino verso la radicalizzazione delle fasce più giovani del Paese. Dopo le proteste condotte contro il candidato cino-cristiano alla sedia di governatore della prospera regione di Giacarta, accusato di blasfemia per la citazione di alcuni versi del Corano durante la campagna elettorale, lo scorso maggio la stessa regione era stata sconvolta dagli attentati terroristici dell’ISIS, parte di un piano più ampio di destabilizzazione che coinvolge anche le Filippine.
Ed è stato proprio in seguito alle indagini condotte sui metodi organizzativi dei terroristi che gli investigatori sono giunti a puntare il dito su Telegram ed i contenuti diffusi dalla propaganda jihadista tramite canali pubblici e privati. Dopo che le autorità avevano tentato, senza successo (stando alle parole del fondatore dell’app, Pavel Durov) di contattare il team di sviluppo per chiedere il filtraggio di una serie di contenuti rintracciati sulla piattaforma, il Ministro delle comunicazioni Rudiantara ha proceduto a bloccare Telegram Web ed il dominio ufficiale. Naturalmente si trattava di una prova di forza: una campanella d’allarme in previsione di un blocco più ampio sull’intero Paese e diffuso a tutte le versioni di Telegram, da TG Desktop a Telegram per Android.
Durov ha pubblicamente riconosciuto le mancanze di Telegram in merito tramite un post sul proprio canale Telegram ufficiale – l’ultimo contenuto pubblicato risaliva allo scorso aprile e riguardava un caso simile, il blocco di Telegram in Medio Oriente. Attraverso l’istituzione di un canale di comunicazione diretto con il Ministero delle comunicazioni indonesiano e l’istituzione di un gruppo di moderatori pienamente consapevoli delle specificità culturali del luogo, Durov auspica una soluzione pacifica alle incomprensioni venutesi a creare, specialmente per il bene della comunità locale di utenti dell’app, che secondo le sue parole si aggira sui “diversi milioni”.
Blokir, blokir, blokir si Joko #BlokirJokowi sekarang juga pic.twitter.com/7l5Y05nnr0
— SiBonekaKayu (@SiBonekaKayu) 16 luglio 2017
Nel frattempo, proprio gli iscritti all’app hanno mostrato il proprio disappunto attraverso una tweet-storm che ha visto l’hashtag #Telegram balzare in cima alla classifica dei Trending Topics con oltre 10.000 tweet in merito, oltre all’iniziativa #BlokirJokowi – che prevede il blocco del profilo Twitter del presidente indonesiano, Jokowi.
Il punto di vista dell'autore
Il caso del blocco di Telegram in Indonesia è emblematico di uno stato di confusione in cui versa il team di sviluppo e controllo dell’applicazione, di cui mi sono accorto da qualche mese e che dall’iniziale stato di impressione sta progressivamente prendendo la forma di un sospetto prima e di una certezza poi.
Ad oggi infatti sono sconosciuti molti particolari della struttura gestionale di Telegram, le cui uniche figure pubbliche per ora conosciute sono Pavel Durov – il fondatore – e Markus Ra, l’irrintracciabile addetto al settore comunicazione e marketing dell’azienda. A queste si aggiunge poi Nikolai Durov, il fratello di Pavel ed autore di gran parte della sezione tecnica dell’app, compreso il protocollo crittografico MTProto.

A ciò si deve addizionare un’impermeabilità alle comunicazioni esterne che si riverbera su molti campi, da quello giornalistico – su Twitter sono più d’uno gli articolisti che chiedono pubblicamente all’app di fornire un contatto per la stampa, assente sul sito ufficiale – sino al settore istituzionale, come il caso indonesiano dimostra.
Dato che Telegram difetta del supporto della stampa tradizionale, che identifica l’app principalmente come un coacervo di propaganda jihadista e cyberbullismo, l’attenzione nei confronti di segnalazioni di carattere governativo sul tema dovrebbe essere massima – eppure accade che avvengano situazioni come quelle di venerdì scorso. Non solo: stando al suo comunicato, lo stesso Durov pare fosse completamente all’oscuro di quanto era in corso nel Paese asiatico sino a quando la situazione non è deflagrata in tutta la sua gravità.
La domanda che sorge spontaneamente è dunque la seguente: chi si occupa di Telegram? Durov è il solo responsabile dell’applicazione, senza il cui intervento il team di moderatori rischia costantemente di cadere nel burrone del panico? E non sarebbe forse opportuno rivedere il criterio di selezione dei moderatori stessi?
Quali sono i legami di Telegram con l’ISIS? Scoprilo nel nostro approfondimento!
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