Il fondatore di Telegram ha accusato WhatsApp di frode e compravendita di informazioni

Secondo Pavel Durov, il fondatore di Telegram, WhatsApp sarebbe ancora disponibile in Paesi come Cina e Arabia Saudita grazie ad un complicato scambio di informazioni

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Le parole sono come pietre e, spesso, vengono lanciate proprio per rompere la finestra dell’indifferenza che separa le utenze di applicazioni simili ma diverse allo stesso tempo: questo è quanto ha fatto Pavel Durov, il fondatore di Telegram, con un post sulla piattaforma di blogging proprietaria Telegraph, nel quale ha spiegato come mai il servizio di chiamate VoIP sia bloccato in Paesi come Iran, Cina e Arabia Saudita mentre altre app di chat, come WhatsApp – che il magnate russo chiama direttamente in causa – operino invece senza difficoltà.

Siete pronti per scoprire come e perchè Telegram è bloccato in Iran e Cina, ma soprattutto perchè WhatsApp sarebbe accusata di frode e compravendita di dati?

Durov accusa WhatsApp: “potrebbe essere il caso più esteso di frode ai consumatori

Negli anni ’80 la differenza degli stili di vita negli USA e nell’URSS aveva ispirato il comico ucraino, ma naturalizzato statunitense Yakov Smirnoff, a sviluppare una gag popolare poi tramutatasi, come molti sketch, in un meme di Internet. “In the soviet Russia” però non è soltanto un motivo di satira nei confronti di un sistema di governo e di vita scomparso sin dagli anni ’90 poichè, se l’Unione Sovietica è morta, non lo sono certo coloro che l’hanno governata nei suoi ultimi anni di vita.

Telegram vs WhatsApp
Telegram è stato bloccato in Iran a causa delle chiamate VoIP e del supporto del servizio al movimento di protesta interno

Lo sa bene Pavel Durov, dissidente russo e sviluppatore della popolare alternativa russa a Facebook, VKontakte che, insieme a suo fratello, ha lanciato negli ultimi anni un’app di chat divenuta popolare per la prematura integrazione dei bot – prima che Messenger diventasse il centro di riferimento di questo universo – canali, stickers e molto altro ancora. L’attrito tra WhatsApp, Zuckerberg e Facebook è di vecchia data: Telegram venne bloccata da WhatsApp e Instagram circa un anno fa (nessun link diretto alla piattaforma veniva abilitato), dopodichè sbloccata senza alcuna spiegazione; anche con Edward Snowden, l’ex dipendente NSA divenuto poi famoso per il leak di preziose informazioni che diede poi il via alle stagioni di rivelazioni sulla privacy (non ultima, le strategie di spionaggio della CIA tramite gli elettrodomestici), Durov ha avuto più di uno scambio acceso di tweet, specialmente in merito a WhatsApp, l’app che integra il sistema crittografico Axolotl di proprietà di Signal, di cui Snowden è il principale sponsor.

Il casus belli che ha spinto Pavel Durov a scrivere un lungo post di denuncia sul sistema di blogging proprietario è il blocco delle chiamate VoIP di Telegram in Iran, un servizio che Telegram, prima della recente svolta, aveva sempre avversato proprio per via dell’antipatia che i gestori telefonici africani e medio-orientali nutrono nei confronti dei sistemi di comunicazione non tracciabili e soprattutto gratuiti (potete leggere QUI il nostro servizio in merito per ulteriori approfondimenti). La spiegazione del blocco di Telegram, che in alcune zone è completamente inaccessibile mentre in altre aree solo parzialmente, è dovuta secondo Durov alla fermezza del team di sviluppo a non cedere alle richieste dei Paesi che, per mantenere il controllo delle proprie popolazioni, richiedono l’accesso alle conversazioni degli utenti.

Non soltanto dunque WhatsApp provvederebbe a fornire crittografia delle conversazioni ma al contempo non metterebbe in sicurezza i backup delle chat, rendendo praticamente la feature inutile – e difatti i backup su Google Drive sono difesi solamente dalla scarsa protezione offerta dal servizio cloud, ma lo stesso algoritmo sarebbe in ogni momento soggetto alle variazioni della società, permettendo dunque virtualmente a WhatsApp ed ai suoi ingegneri di leggere le conversazioni degli iscritti (ne abbiamo parlato QUI) e di ascoltarne chiamate e videochiamate. Le conclusioni di Durov sono chiare e dure:

WhatsApp may be involved in the single largest case of consumer fraud in human history.

I metadata sarebbero sfruttati a piacimento da WhatsApp, così come da Google ed Apple che possono ed in certi casi devono, sempre secondo la lettura di Durov, fornire informazioni alle strutture governative preposte (ma Apple ha già deciso di chiudere ogni servizio in Iran, così come vi abbiamo riportato qualche settimana fa). Al contrario Telegram, che invece preferisce il blocco totale alle funzionalità piuttosto che cedere alle pressioni delle strutture governative (e se non lo sapete ancora, usare Telegram in Iran è un vero inferno):

[…] sometimes it’s better to stop using a communication service entirely than to keep using it with misplaced trust in its security.

Insomma, le parole di Durov sono pesanti ed hanno già causato un certo scompiglio su Twitter, con oltre 2.000 retweet ed altrettanti Mi Piace; voi cosa ne pensate? WhatsApp è davvero insicuro come accusa Durov, o i timori del fondatore di Telegram sono pesantemente influenzati dal suo passato da esule? Fatecelo sapere nei commenti!

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