Telegram, WhatsApp e il problema della censura in Europa, Asia minore e Medio Oriente

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Nell’epoca delle comunicazioni senza fili, della corsa ai servizi di messaggistica sicuri e del mondo senza frontiere digitali, può sembrare veramente bizzarro che venga operata una censura diretta su applicazioni di chat e social networking da parte dei governi. L’introduzione della crittografia, delle legislazioni per la protezione della privacy e di una consapevolezza generale da parte degli utenti sul valore delle proprie informazioni personali ha spinto le autorità degli Stati più oppressivi ad andare oltre le consuete tattiche di controllo dell’informazione.

Se un tempo dunque malware, trolling online e fake users (utenti prezzolati) erano la via più breve, semplice ed utile per controllare le informazioni in transito sul territorio nazionale, con la diffusione degli smartphone e dei servizi ad essi collegati dittature come quella cinese e Stati autoritari ed oppressivi come l’Iran e l’Arabia Saudita hanno avuto gioco facile nella soppressione della libera circolazione delle informazioni.

In questa serie di approfondimenti abbiamo dunque raccolto le principali testimonianze riguardo app e servizi di messaggistica bloccati in ogni angolo del globo, raccolti e catalogati per continente: siete pronti per scoprire in quale misura la censura sia ancora utilizzata in Europa, Asia minore e Medio Oriente?

Europa

Partiamo dal continente più vicino in termini geografici ma non solo: nonostante in Europa siano nati tutti i principali movimenti culturali passati ed odierni e che sia caratterizzata da un alto livello di sviluppo legislativo in termini di protezione delle informazioni personali, siamo certi che ogni Stato facente parte del continente europeo rispetti la libera comunicazione?

Curiosità su Telegram e su Pavel Durov 3
Durov è stato costretto alla fuga

Naturalmente no: Russia e Bielorussia sono infatti protagonisti di un rinnovato controllo centralizzato dell’informazione digitale, anche se in misure notevolmente differenti. Mentre in questi giorni è stata diffusa la notizia di un futuro e certo blocco di WhatsApp in Russia, l’Agenzia Nova precisa che si tratta solamente di una proposta parlamentare avanzata dal ministero per lo sviluppo economico che verrà sottoposta al giudizio del presidente Vladimir Putin; tale decreto riguarderebbe tutti i servizi di messaggistica stranieri (WhatsApp, Viber e persino Telegram, nonchè GMail) e sarebbe esteso ai soli dipendenti pubblici, che non potrebbero farne uso evitando in questo modo fughe di notizie. Ciononostante, il principale social network del Paese, VKontakte, è sotto il controllo del governo che ha costretto il suo fondatore, Durov, alla cessione all’oligarca fondatore di Mail.ru.

Diversamente in Bielorussia, ritenuta “l’ultima dittatura in Europa” e dove il presidente Luckashenko sarebbe più che intenzionato a proseguire la propria opera di censura non soltanto dei servizi di messaggistica ma dei siti stessi, controllandone contenuti e pubblicazioni.

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Cameron non ama particolarmente WhatsApp per l’impossibilità di intercettarne i contenuti

Sorprendentemente anche l’Inghilterra di David Cameron potrebbe introdurre un blocco di WhatsApp e Snapchat per via dell’alto livello di crittografia dimostrato dalle due applicazioni, oltre che a iMessage, FaceTime e tutti i servizi analoghi; si trattava di un provvedimento che il governo inglese avrebbe voluto mettere in atto in seguito alla strage di Parigi in cui gli stessi terroristi si erano serviti delle app di chat per il coordinamento, ma non ha mai avuto veramente luogo. Anzi, lo stesso Cameron è finito nell’occhio del ciclone per aver utilizzato WhatsApp e le sue comunicazioni crittografate per aggirare la legge sulla trasparenza mediatica proseguendo la propria campagna propagandistica contro il Brexit, l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea.

Asia minore

Sorprendentemente – ma anche no, date le condizioni geopolitiche della zona interessata dalla nostra analisi – i Paesi situati nell’Asia Minore ed nel Medio Oriente si sono dimostrati particolarmente attivi nella rimozione di applicazioni scomode che potessero in qualche modo disturbare l’attività dittatoriale e repressiva degli organi di governo.

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In Turchia la libertà d’espressione è a rischio

La Turchia, che da qualche anno sta mutando il proprio assetto politico da una relativamente libera democrazia ad uno stato autocratico caratterizzato da un radicato sentimento religioso, non dimostra di possedere assolutamente alcun rispetto per la libertà di parola. Oltre alla chiusura all’accesso a Facebook e Twitter durante l’esplosione di automobombe ad Instanbul e praticamente nel corso degli eventi di maggiore rilevanza nel Paese, la Turchia è responsabile della censura di oltre il 96% degli account Twitter – oppositori interni, così come appunto racconta il profilo Turkey Blocks, che segue in tempo reale le attività di repressione dell’informazione.

La strategia turca è chiara: arresti di giornalisti contrari alla voce del regime del presidente turco Erdogan – che non ha mai visto di buon occhio la libertà di espressione – e blocco dei servizi che possono in qualche modo minacciare la sua leadership propagandando idee pericolose.

Al suo fianco troviamo anche la Siria di Bashar al-Assad il quale, durante i prodromi del sanguinoso conflitto che tutt’ora ha luogo nei confini dello Stato orientale, bloccò completamente l’accesso a WhatsApp per impedire il coordinamento delle forze dell’opposizione sin dal 2012; insieme a WhatsApp aveva seguito lo stesso fato anche Bambuser, un servizio di streaming online simile a YouReporter che si era reso protagonista per il caricamento del video di un bombardamento condotto da parte delle forze lealiste.

Medio Oriente

Spostandoci in Medio Oriente possiamo notare come la maggior parte degli Stati presenti nella penisola arabica – tutti stati teocratici, in cui l’autorità civile diventa anche autorità religiosa – abbiano bloccato in maniera indefinita o per qualche periodo di tempo app di messaggistica o chiamate VoIP.

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Vignetta del disegnatore Latuff

L’attività repressiva non viene svolta dai governi stessi, ma dalle compagnie telefoniche che ne impediscono l’utilizzo: negli Emirati Arabi Uniti infatti le chiamate vocali tramite Facebook Messenger sono bloccate per opera della UAE’s Telecom Regulatory Authority, che ne ha impedito l’aggiornamento su Google Play; allo stesso modo il Baharain, conosciuto in Italia per le munifiche donazioni, ha da tempo (dal 2013) bloccato applicazioni come Skype, WhatsApp e Viber che a parole andrebbero contro “i fondamenti ed i valori dell’Islam“, ma che nei fatti limitano l’intercettazione delle informazioni trasmesse per via dell’alto livello di sicurezza che i servizi VoIP possono vantare.

La situazione non cambia se ci spostiamo a nord o sud della penisola arabica: nella stessa situazione troviamo anche l’Oman e da qualche mese anche l’Arabia Saudita il cui blocco parziale di Telegram – accessibile solamente tramite reti VPN a partire sin dal gennaio 2016 – è stato comprovato da Pavel Durov in persona in un suo recente tweet. Solo lo Yemen sembra apparire come un’anomalia nella regione, ma solamente perchè il suolo del Paese è attualmente sconvolto da una guerra civile.

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Nel 2015 l’Iran rappresentava la quasi totalità dell’utenza

La storia di Telegram in l’Iran è molto più conflittuale, e si basa su un rapporto di amore-odio: da una parte infatti lo Stato persiano rappresenta uno dei più grandi bacini d’utenza per la società di messaggistica russa, che viene utilizzata specialmente da attivisti anti-regime e giornalisti non allineati, mentre dall’altra il regime dell’Ayatollah Ali Khamenei teme proprio la capacità mediatica dei nuovi social network e tenta di impedirne la diffusione.

Già nel gennaio di quest’anno Telegram era sopravvissuto ad un voto del Working Group to Determine Instances of Criminal Content on the Internet, il principale organo per il filtraggio delle informazioni telematiche, che aveva tentato la censura dell’applicazione con il supporto delle frange più conservatrici ed oscurantiste del Paese; poche settimane fa invece il Supreme Council of Cyberspace ha deciso di permettere la permanenza in Iran delle sole app di messaggistica che dispongano di server nel suolo persiano, costringendo dunque Telegram ad una relativa latitanza accessibile solamente tramite VPN.

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Telegram è fondamentale per mantenere la libertà d’espressione nel Paese

Il blocco di Telegram potrebbe rappresentare un duro colpo per la libertà di espressione: così come spiega il Committee to Protect Journalists, un organo dedito alla difesa della libertà di stampa nel mondo, i canali Telegram sono diventati la prima fonte di informazione libera in un Paese classificatosi al terzo posto per peggiori condizioni di detenzione nei confronti dei giornalisti; d’altra parte Telegram ha introdotto la possibilità di autodistruggere a distanza l’account di un amico o conoscente dopo che il profilo di un attivista iraniano, sparito misteriosamente, era stato violato dalle guardie del regime che avevano tentato in questo modo di catturare collaborazionisti e fiancheggiatori.

Pensate che queste siano le notizie peggiori che poteste ricevere sulla libertà di stampa? Aspettate di vedere quanto abbiamo da raccontarvi a proposito di Asia, Sud-America ed Africa! Nel frattempo potete dare un’occhiata QUI ai nostri suggerimenti per proteggere la propria privacy online!

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