Tutti i motivi per cui Pavel Durov non venderà Telegram (nè a Google, nè a chiunque altro) – EDIToriale
Nelle scorse ore è circolata in Rete un’insistente quanto curiosa notizia che riportava, per bocca di un paio di anonimi siti di informazione tecnologica russi, che Telegram sarebbe stata acquisita (o in procinto di diventare tale) da parte di Google per un miliardo di dollari, cifra concordata tra il fondatore della piattaforma Pavel Durov e l’attuale CEO di Google, l’indiano Sundar Pichai.
Non nego che si sia trattato di primo impatto di un episodio alquanto curioso, e per certi tratti emozionante: l’entrata di Telegram nella grande famiglia di Alphabet garantirebbe all’applicazione il supporto tecnico necessario che probabilmente gli avrebbe evitato le cadute offline del servizio, che negli ultimi mesi si sono avvicendate con un po’ troppa insistenza. Non solo: i servizi Google, i progetti sperimentali della compagnia, un oceano di possibilità, sogni e speranze per un’app con enormi potenzialità ma dalle risorse terribilmente ristrette.
La secca smentita da parte di Durov (che tra l’altro ha definito la fonte “a low quality blog“) e una successiva riflessione mi hanno spinto a considerare i lati negativi dell’operazione: davvero Telegram ha bisogno di Google per dimostrare di essere in grado di competere con Messenger? Non credo che si possa dare una risposta positiva a questa domanda tanto a cuor leggero, soprattutto conoscendo Telegram, la natura della piattaforma e soprattutto quella del suo fondatore.
#1 – La crescita inarrestabile di Telegram
Nonostante Durov abbia avuto una reazione particolarmente seccata, le indiscrezioni di una possibile acquisizione di Telegram da parte di Google potrebbero non essere così inverosimili: tutti i dati e le statistiche riguardo la crescita della piattaforma riportano indici positivi e solitamente si tratta del momento ideale in cui eventuali finanziatori escono allo scoperto per proporre alla giovane start-up collaborazioni o fusioni.

La mossa di Google apparirebbe in questo caso del tutto legittima: la corsa al Botageddon (o meglio conosciuta come “Rivoluzione dei bot“) è appena iniziata e il principale competitor della casa di Mountain View, Facebook, ha subito calato sul tavolo le proprie carte migliori per stupire il pubblico ed accreditarsi la paternità dei bot e della loro ideazione. Siamo tutti al corrente del fatto che queste affermazioni non corrispondano al vero, ma dello stesso parere non sembra essere nè la stampa internazionale (che a parole loda Telegram ma nei fatti supporta Facebook) nè il grande pubblico.

Se dunque Google ha intravisto le potenzialità di Telegram e dei suoi bot, è lapalissiano supporre che Pavel Durov ed il suo staff ne siano allo stesso modo al corrente, e probabilmente anche in possesso di dati più precisi e specifici a riguardo. Per quanto ci riguarda, stando ad un sondaggio eseguito nel 2015 da GlobalWebIndex, ben l’89% degli utenti Telegram guarderebbe con favore all’introduzione di un sistema di pagamento e di money transfer all’interno dell’applicazione, e questi dati si accordano – non a caso – con quanto Durov ha sempre affermato sui futuri piani di monetizzazione di Telegram. Se dunque Telegram può contare su una vasta community di supporto, un futuro potenzialmente roseo e vaste possibilità di guadagno, perchè dunque vendere a Google?
#2 – Perchè Google dovrebbe comprare Telegram?
Nella frenesia che ha seguito le ore precedenti alla dichiarazione, qualche utente più accorto degli altri ha giustamente posto in discussione, qualora l’acquisizione si fosse rivelata confermata, la sorte di Hangouts dopo che Telegram fosse entrato a fare parte della grande famiglia di Alphabet.

Non è certo un mistero che Google sia indecisa – terribilmente indecisa – sul futuro da assegnare alla propria applicazione di messaggistica ufficiale: dopo una serie frenetica di update che ne hanno rivoluzionato l’interfaccia, Hangouts è rimasta sospesa in una sorta di limbo tecnologico, aspettando aggiornamenti ed implementazioni che forse non arriveranno mai. L’attribuzione a Messenger della gestione esclusiva degli SMS ha tolto ad Hangouts l’imbarazzo di essere una concorrente di un’altra Google App, ma così facendo ha allontanato dalla piattaforma anche gli utenti che avevano continuato a farne uso per questa doppia integrazione.
Una lancia a favore di Hangouts bisogna comunque spezzarla: si tratta di una delle migliori alternative a Skype per videochat e videochiamate, sia singole che di gruppo, e l’integrazione con il sistema Google le conferisce un vantaggio considerevole – oltre ad essere tutte features che Telegram non possiede. Siamo dunque certi che acquisire Telegram per 1 miliardo di dollari e mantenere così tre app contemporaneamente dedicate alla messaggistica all’interno di una sola società sia la scelta migliore per Google?
Nonostante quello che potrete sentire in giro, Hangouts non è ancora morto, anche se non se la sta passando molto bene: ciò di cui l’app ha veramente bisogno è un restyling non soltanto grafico ma anche concettuale; i bot sono la novità del momento, perchè non approfittarne anche su Hangouts?
#3 – Pavel Durov, inguaribile idealista
Infine, non è stato tenuto in considerazione uno degli elementi più vistosi – ma, per qualche motivo, rimasto perennemente sullo sfondo della vicenda – non soltanto di questo rumor, ma anche della stessa natura di Telegram: Pavel Durov e la sua visione idealista del mondo.

Se infatti ci si aspetta che a capo di una società di successo, che quotidianamente filtra e sorveglia centinaia di migliaia di big data, debba per forza risiedere uno squalo del calibro di Mark Zuckerberg, Telegram rappresenta un’eccezione in quanto Pavel Durov non corrisponde affatto a questo profilo.
Giovane, ricco, abituato a vestirsi come Neo di Matrix e che una volta, in segno di protesta contro il governo russo, ha gettato migliaia di dollari dalla finestra del proprio ufficio: non si tratta della descrizione di un serio businessman, quanto piuttosto di un eccentrico milionario filantropo. Durov è la stessa persona che ha subito un tentativo di spionaggio da parte dell’NSA, che si è rifiutata di spostare la sede di Telegram in Gran Bretagna per via delle politiche troppo fluide in materia di privacy e che nutre un odio viscerale per le dittature e la manipolazione dei big data. Non avrebbe dunque assolutamente senso per lui vendere, all’improvviso e senza alcun rumor premonitore, il progetto su cui da più di un anno spende mensilmente un milione di dollari, senza alcun profitto, specialmente se il compratore è una delle più grandi compagnie informatiche con sede negli Stati Uniti.
Ride bene chi ride ultimo
Naturalmente non escludo che Sundar Pichai e Pavel Durov abbiano avuto dei contatti: se infatti Google si è concentrata, negli ultimi tempi, sullo sviluppo di un’intelligenza artificiale nella forma di un client capace di interagire nelle chat e di migliorare l’esperienza utente attraverso il supporto delle reti neurali, non è detto che il fondatore di Telegram non abbia pensato ad una collaborazione con la casa di Mountain View.

Se infatti la vendita sembra una strada impraticabile, perlomeno secondo le premesse precedenti, è probabile o quantomeno possibile che si possa concretizzare una forma di collaborazione tra Telegram e Google. In questo momento infatti il settore tecnologico sta subendo la propria, americanissima guerra fredda in cui Google e Facebook, novelli Russia – USA si sfidano in primo piano con Microsoft e Amazon sullo sfondo, a metà strada tra le comparse attive e gli spettatori passivi.
Telegram, che per molti rappresenta la terza via di Nasser allo strapotere degli statunitensi, è stata costretta dagli eventi a contrapporsi a Facebook in toni tutt’altro che amichevoli, e potrebbe trovare in Google un inaspettato alleato. Che questa collaborazione possa poi sfociare in una fusione con Alphabet – lasciando a Telegram lo stesso grado di indipendenza di altri team collaboratori come Niantic – non è assolutamente improbabile.
Sempre a tema di app di chat vi invito a leggere CiaoIM e tutti gli errori di Stonex, la mia personale riflessione sulla strategia adottata da Stonex (e tutti gli errori commessi) per la promozione della propria applicazione.
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