Un nativo digitale in vacanza all’Overlook Hotel – EDIToriale
Ogni tanto, ai telegiornali o negli inserti delle riviste, capita di sentir parlare o leggere a riguardo di zone, situate nelle regioni più impervie della Turchia, della Cina meridionale o praticamente in qualsiasi lembo di terra africano che non sia la costa tunisina, in cui non solo non esiste alcuna connessione Wifi nè tantomeno Internet, ma sono addirittura sprovviste di celle telefoniche a cui agganciarsi per un’eventuale chiamata d’emergenza.
Nella classica retorica anti-digitale a cui, per una crisi di rigetto o semplicemente per pressapochismo mal calibrato, ci spinge questa epoca di pervasività tecnologica, ogni qualvolta che tali notizie giungono alle nostre orecchie la nostra prima reazione immancabilmente è: “Ah, magari potessi viverci io, in un posto del genere!”, una frase tipicamente pronunciata con un tono tra il nostalgico e il rassegnato e con lo sguardo rivolto causticamente verso il cielo, immerso in un improvviso flashback negli anni ’90.
Niente di più falso!
Che la liberazione, per alcuni giorni, dalle incombenze lavorative o sociali sia un fatto positivo non è in discussione, ma la prolungata permanenza in una zona sprovvista di qualunque servizio non farebbe altro che portare allo sviluppo di, in sequenza, tic nervosi, paranoie, malattie mentali, allucinazioni ed istinti omicidi, oltre che una sfrenata voglia di acquistare un Nokia 8310.
Io ho passato dieci giorni in un Hotel, situato a poca distanza dalla riviera romagnola, in cui non solo nè il Wifi (peraltro presente) nè la connessione Internet funzionavano, ma nemmeno la rete telefonica era disponibile. Vi racconto come è andata.
I preparativi approssimativi
Si può certamente dire che me la sia andata a cercare. Sono anni infatti che frequentiamo in famiglia sempre la stessa località, concedendoci un paio di settimane di completo riposo e relax. Quest’anno però, desiderosi di cambiare, selezioniamo un’altra meta: un Hotel situato in una zona poco conosciuta della riviera adriatica le cui fotografie, accuratamente analizzate attraverso sito dell’albergo, lasciavano ben sperare riguardo quello che sarebbe stato l’andamento della vacanza.

Naturalmente il primo elemento di cui mi interesso è la dotazione tecnologica di cui dispone l’Hotel: dando un’occhiata alle varie caratteristiche elencate nella lista dei servizi noto con piacere la presenza di una rassicurante voce: “Wifi presente al piano terra e nelle stanze“. Praticamente una manna dal cielo, la possibilità di poter connettere lo smartphone ed il portatile sia nella confortevole tranquillità delle stanze, sia nella piacevole frescura della hall dell’albergo, dotata di comode poltrone e di una ampia vetrata direttamente rivolta sul mare. Ma avrei dovuto insospettirmi già dall’aria tremendamente anni ’70 che quelle fotografie ispiravano (e ammetto che la presenza di un telefono marcato “SIP” tra gli accessori in mostra nelle immagini delle stanze era stato un monito più che palese).
I primi problemi
Una volta giunto sul luogo, non posso che rimanere stupito dalla bellezza del panorama: con il senno di poi, probabilmente era stato costruito ad arte, con tanto di gabbiani animatronics che pigramente volteggiavano nel cielo, per distrarmi dal problema principale: l’assenza di qualunque servizio di rete. Lì per lì non mi scompongo: una volta appoggiate le valige mi dedico di buona lena alla ricerca di un punto in cui la barra della connessione mi dia una speranza.

Cammino per tutto il perimetro dell’Hotel, ma nulla. Attraverso il giardino dell’albergo – urtando vecchie cariatidi distese al sole come polli allo spiedo, bambini dotati di braccia grosse come tronchi d’albero per via del sollevamento continuo di coni gelato ai millemila gusti più uno e due o tre camerieri in gara per l’oro nella categoria del sollevamento di castelli di bicchieri, mandando i loro sogni in frantumi (oltre che duecento tra calici, coppe di vetro e bottiglie d’acqua Perrier) – ma nulla. Mi spingo sino in piscina, ma nulla. Scalo picchi inesplorati, attraverso deserti, domo bestie feroci e già che ci sono aiuto un re a tornare al suo regno sotto la montagna, ma nulla. All’improvviso, come un’epiphany che solo il miglior Joyce saprebbe raccontare, la connessione di rete appare: peccato che non mi fossi accorto di essere arrivato sul ciglio della scogliera, e come uno storpio gettato dalla Rupe Tarpea raggiungo la riva collezionando ematomi lungo la strada.
“Beh, allora ne approfitto!”
Pesto, mogio e tristo, raggiungo nuovamente l’Hotel, curando le mie ferite spirituali pensando al Wifi che mi aspettava come una moglie fedele attende il proprio marito di ritorno dalla guerra (e date le ferite che avevo sul corpo sarei stato anche un reduce credibile). All’ingresso nella hall mi getto sulle comode poltrone di pelle ed accendo il sensore Wifi: una gioia euforica mi assale nel vedere non una, ma ben due reti Wifi, una libera ed una protetta.

Naturalmente decido di puntare sulla preda più facile, e, come il bandito Mezcal, mi avvento sulla connessione libera: l’entusiasmo dura meno di un aquilone di Charlie Brown, perchè mi accorgo che nè i messaggi su WhatsApp vengono inviati, nè la bacheca di Facebook si aggiorna, nè le pagine web di Chrome si caricano (il quale però, essendo un prodotto Google, riesce ad intrattenermi anche offline grazie ad un simpatico dinosauro centometrista). Ostentando sicurezza e rassicurando me stesso sulla presenza di una seconda rete Wifi (ma risultando credibile quanto un presidente americano sul rispetto della sovranità dell’Afghanistan) che sicuramente avrebbe funzionato, mi avvicino con passo deciso alla reception: ad accogliermi è un gigante dalle proporzioni ciclopiche, che avrebbe fatto tanto buona figura in un’osteria dell’Irlanda del nord dietro un bancone di legno tagliato con l’accetta.
Sulle prime, date le dimensioni, mi assale il dubbio se l’aria attorno alla sua testa sia più rarefatta rispetto a quella di cui si serve il mio naso per respirare, ma poi mi ricompongo e chiedo la password del Wifi. Quello, squadrandomi dall’alto in basso come se avessi detto che la sua birra faceva schifo e che l’Irlanda apparteneva agli inglesi, abbozza un sorriso che a confronto quello della Monna Lisa era una grassa risata e mi consegna un foglietto contenente la sequenza rivelatrice. Ma il dramma raggiunge il suo spannung: nemmeno quella rete carica i contenuti.
Quell’antenna sul fiume Kwai
In camera la situazione migliora leggermente: il computer riesce infatti a captare un debole segnale che consente di navigare su Internet, ma si trova solamente in un angolo della stanza per il quale mi trovo costretto a spostare il comodino sulla terrazza. La connessione è poi talmente lenta che le immagini o non vengono visualizzate, oppure si caricano una porzione per volta, come accadeva con i router dei primi anni ’90.

Stravolto, arrabbiato e voglioso di spiegazioni, mi precipito alla reception: questa volta non è più il massiccio irlandese ad accogliermi, bensì una compiacente signorina, alla quale chiedo perchè la zona sia sprovvista delle più elementari forme di sussistenza tecnologica. Lei mi spiega che l’Hotel e l’intera valle, trovandosi in una conca naturale, non è raggiunta dalla rete di nessun ripetitore; l’unica soluzione sarebbe stata posizionare un’antenna sul monte a fianco dell’albergo, ma il WWF lo aveva categoricamente vietato, dato che nello stesso luogo sorgeva un’oasi naturale. La volta in cui avevano tentato di erigere l’antenna di nascosto erano partiti in venti e tornati in quattro, di cui uno senza un occhio e tre privi di gambe e braccia. Mentre la signorina mi racconta ciò con tono da reduce del Vietnam mi accorgo che, nella penombra della reception, seduto davanti allo schermo di un PC siede il gigante irlandese del quale riesco finalmente a vedere la faccia: una benda nera gli copre l’occhio come un pirata sanguinario, di cui scopro possiede anche il ringhio che mi rivolge non appena mi nota.

La signorina conclude il suo racconto rassicurandomi che la mattina successiva un tecnico sarebbe giunto a riparare il Wifi. Curiosamente, le sento ripetere la stessa frase ad una coppia di turisti tre giorni dopo.
Il resto è noia: fortunatamente, dopo aver preso in considerazione il suicidio tramite la visione forzata dell’ultimo spot Apple, scopro che ai piedi dell’Hotel si trova un bar in cui, al costo di una consumazione, il Wifi è ad uso illimitato ma, soprattutto, funziona. Ingrasso di tre chili, ma perlomeno sono salvo.
Se vi è piaciuto questo piccolo diario, vi invito a leggere Sette giorni senza connessione Internet, che racconta una storia simile, ma non troppo; se poi vi è piaciuto, vi invito caldamente a condividere questo EDIToriale sui social network che voi hipster senz’altro frequentate; se avete qualche domanda, contestazione o perplessità da rivolgermi in merito a questo EDIToriale, lasciate pure il vostro pensiero nella barra dei commenti qui sotto, oppure inviatemi una mail all’indirizzo [email protected]! E non dimenticatevi di seguirmi in uno dei miei profili social e di iscrivervi alla newsletter di AppElmo!